Foto: Sr. Marianne Stoeger

Candidate al Nobel per la Pace due suore missionarie austriache

Suor Marianne e suor Margaret, ora ottantenni, hanno speso la loro vita accanto ai lebbrosi della Corea

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Due suore cattoliche missionarie, le austriache suor Marianne Stoeger e suor Margaret Pissar, entrambe 80enni, sono candidate al prossimo Premio Nobel per la Pace per il servizio reso ai lebbrosi della Corea. Lo rende noto L’Osservatore Romano spiegando che le due religiose hanno trascorso 40 anni a lavorare per chi è affetto dalla malattia di Hansen, che nel Paese asiatico porta con sé uno stigma sociale come “maledizione del cielo”.
Sono tanti gli ex malati, i loro figli e nipoti, ad essere profondamente grati alle suore perché oggi “non sarebbero qui”. Le due religiose invece ritengono di “non aver mai fatto nulla di straordinario”. Lo spirito di sacrificio mostrato dalle suore “dovrebbe divenire una pietra di paragone per questa nostra era, incentrata sul materialismo”, recita invece la motivazione.
Suor Marianne è tornata lo scorso maggio nell’isola di Sorok, dove ha sede l’ospedale nazionale Sorokdo, per celebrare il centenario della fondazione della struttura. Suor Margaret è invece rimasta in Austria, dati i limiti imposti dall’età e da una malattia degenerativa.
L’isola di Sorok, spiega ancora il quotidiano vaticano, è stata per anni uno di questi lager. Nel 1962, quando suor Marianne arriva nel paese, trova una situazione terrificante, come definita da lei stessa. “I malati dovevano chiamarci ‘signore’ ed essere umili e deferenti. Le botte erano la regola, così come gli aborti forzati e le sterilizzazioni. Ci sono voluti decenni per cambiare le cose”.
Le due donne, non ancora trentenni, a dispetto di medici e infermieri locali che usavano mascherine, guanti e tute protettive, lavoravano senza protezione. Negli anni in cui gli abusi contro i lebbrosi erano sistematici, cercavano di restituire loro la dignità perduta. “Li visitavamo al mattino presto, quando non c’era nessuno, e parlavamo con loro. Molto spesso cenavamo insieme la sera tardi, sempre per evitare i controlli. E facevamo il possibile”.
Coinvolgendo l’Austria, le due religiose riuscirono a raccogliere medicinali e contributi economici per costruire una casa per i figli non malati dei pazienti, un’ala per i tubercolotici e un’altra per i malati mentali. Per loro la guarigione dei loro assistiti era “la più grande delle gioie. Quando vedevamo un paziente che veniva dimesso, che poteva tornare a casa con le ferite curate, si apriva una finestra di speranza”.
La candidatura al Nobel per la pace ha un altissimo valore simbolico, dal momento che – secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – la lebbra è una malattia curabile ma cronica. Per esempio, i pazienti registrati in Corea del Sud sono quasi 14mila, ma i numeri potrebbero essere maggiori: centinaia, secondo fonti della Chiesa locale, sarebbero i malati non registrati che preferiscono isolarsi nelle proprie case per non finire nei sanatori.

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ZENIT Staff

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