“Al di là delle differenti modalità e delle specifiche competenze nel mondo del sistema informativo, tutti noi che siamo presenti oggi, abbiamo a che fare con una professione che è una professione formativa perché trattiene un legame profondo con la capacità dell’uomo e della donna di giudicare gli eventi e di farsi opinioni circa la vita e la società. Questo chiede un ‘di più’ non solo di professionalità ma anche di maturità umana, capace di non accontentarsi dei codici ma in grado di vivere l’inquietudine, nel quotidiano del proprio lavoro, di una libera e consapevole responsabilità”.
Lo ha detto oggi monsignor Dario Edoardo Viganò, nel suo indirizzo di saluto durante l’incontro del Papa con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, in Sala Clementina. Il prefetto della Segreteria per la Comunicazione ha ripreso il concetto di “un’ermeneutica spirituale che sappia raccontare la Chiesa”, già espresso dal Pontefice nel suo incontro con gli operatori dei media del 16 marzo 2013, pochi giorni dopo l’elezione.
Essa, ha detto, “non è una aggregazione sociologica ma, l’esperienza di donne e uomini discepoli di Gesù. Proprio per questo, la Segreteria per la Comunicazione si rende disponibile a promuovere seminari e corsi di aggiornamento e di approfondimento soprattutto per i vaticanisti, per aiutarli a comprendere sempre meglio e in profondità gli eventi ecclesiali”.
Citando poi l’enciclica Laudato Si’, Viganò ha affermato che “sarebbe bello che il giornalismo sapesse raccontare le vicende di tante donne e tanti uomini che giorno dopo giorno, con dignità e fierezza, affrontano le questioni della malattia, della mancanza del lavoro, dell’impossibilità a costruire un futuro. Perché non coltivare il gusto per le notizie buone, quelle che non fanno mai capolino tra i grandi titoli dei giornali e della Tv che sembrano preferire tutto ciò che è segnato da violenza e da sopraffazione?”, ha domandato il sacerdote. E ha concluso auspicando che i giornalisti siano “capaci di profezia, di visioni che aprano l’orizzonte alla speranza, di parole intelligenti, che sappiano aiutare a intus-legere, a leggere in profondità con passione e misericordia le vicende della storia”.
È seguito l’indirizzo di omaggio del presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino, che ha esordito rivolgendo al Papa un semplice “grazie per questo incontro che abbiamo voluto tutti, tutti”. Perché, ha spiegato, “quale che sia la nostra fede, e qui ci sono colleghi di più religioni, noi apprezziamo il Suo impegno a favore della dignità di tutti, in particolare degli ultimi, nella vita e nel lavoro, senza distinzione per colore della pelle o convinzioni religiose”.
Il presidente ha subito ricordato le parole che gli rivolse lo stesso Francesco -“Il vostro è un lavoro importante, delicato” – durante l’incontro del febbraio 2016 con i ragazzi ospiti del CeIS Don Mario Picchi, “una comunità che sento come la mia famiglia”. “Nulla cancellerà quel ricordo, la sorpresa esplosa sul volto dei presenti nel vedere scendere da un’auto il Papa per mangiare con loro una pizza”, ha detto Iacopino. E ha sottolineato che quello del giornalista “è un lavoro, purtroppo, anche pericoloso”, con persone costrette a vivere sotto scorta o che “per servire con la verità i cittadini impongono privazioni non solo a loro stessi, ma anche alle loro famiglie, ai loro figli”. Ci sono anche alcuni giornalisti “che hanno pagato con la vita il loro impegno civile”, ha ricordato il vertice dell’Odg; uno di questi era Giancarlo Siani, “un collega con la ‘schiena dritta’, assassinato dalla camorra il 23 settembre del 1985, a 26 anni e 4 giorni”. Al Papa è stato infatti regalato un volume con i suoi scritti.
All’udienza erano presenti infatti, oltre al fratello di Siani, anche la mamma di Ilaria Alpi, la giornalista assassinata in Somalia con l’operatore tv Miran Hrovatin, Claudio Fava, giornalista e deputato, figlio di Pippo Fava vittima della mafia e diversi giornalisti che vivono sotto scorta oltre ai direttori delle più importanti testate nazionali.
Il presidente Iacopino ha poi denunciato il lavoro mal pagato o non retribuito che devono subire tanti giornalisti. “Incontrando i ragazzi del Ceis – ha detto – Lei ha raccontato il tormento di una giovane che lavorava 11 ore al giorno in aeroporto per 600 euro al mese. Vedendo apprezzato il suo lavoro, provò a chiedere un aumento. Le risposero che poteva andare, se non le stava bene, perché fuori c’era la fila. Padre Santo, qui, in questa sala, ci sono molti che considerano un miraggio quei 600 euro. Lavorano duramente ogni giorno per pochi spiccioli che, a volte, risultano solo promessi e non corrisposti”.
“È una nuova forma di schiavitù”, ha sottolineato Enzo Iacopino. “La si può negare, ma emerge con la violenza del dolore di chi non ce la fa più. Loro e noi tutti troviamo conforto in parole che ha detto in altre occasioni. Queste, ad esempio: ‘Se viene qualche benefattore con un’offerta frutto del sangue di gente sfruttata con il lavoro mal pagato dirò brucia il tuo assegno. La Chiesa non ha bisogno di soldi sporchi'”.
[S.C.]
ZENIT
Un giornalismo veicolo di speranza, no una nuova forma di schiavitù
I saluti di mons. Viganò e del presidente Iacopino, durante l’udienza di oggi del Papa con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti