Liberté, Égalité, Fraternité (in italiano: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è il motto reso celebre dalla rivoluzione francese, entrato a far parte della moderna cultura occidentale.
Se le due prime parole – Liberté ed Égalité – sono facilmente attribuibili ad un’area di pensiero d’origine razionale e illuministica, il terzo termine – Fraternité – ha un significato più sfumato, che riconduce a sentimenti di reciproco affetto e benevolenza, radicati in un sentire d’ordine psicologico e spirituale.
Una simbiosi, quella fra i tre concetti, che fu resa possibile sul finire del ‘700 da quel particolare clima di effervescenza collettiva tipico dei grandi movimenti della storia, quando la spinta propulsiva delle forze in atto diviene “talmente esclusiva da occupare quasi completamente le coscienze, da cui scaccia più o meno completamente le preoccupazioni egoistiche e volgari”.
Le parole virgolettate appartengono ad Émile Durkheim (1858-1917), uno dei padri fondatori della sociologia moderna, che intravide con chiarezza il nesso esistente fra la religione e la struttura dei gruppi sociali.
Ma è indubbio che, nella successiva evoluzione del corso storico, la simbiosi fra i tre concetti di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza ha registrato un graduale declino, fin quasi a spegnersi nella coscienza comune. Il pregiudizio materialista della cultura contemporanea continua infatti a sottolineare il valore centrale della libertà e dell’uguaglianza, ma ha confinato la fratellanza nell’alveo di un’astrazione etica di tipo religioso, contrapponendo ad essa gli imperativi dell’individualismo e della competizione.
È il colossale equivoco del nostro tempo, che sta determinando una crisi di civiltà di vaste proporzioni: la contrapposizione fra cuore e raziocinio, ragione e sentimento. L’illusoria e dogmatica certezza che possa attuarsi una forma di sviluppo esclusivamente basata sul culto dell’efficienza e dell’interesse economico, prescindendo dai fini morali della società e dalle dinamiche della psicologia sociale.
Eppure l’insegnamento della storia dovrebbe metterci in guardia: cos’era il comunismo – con la sua negazione di un’esistenza autonoma della morale, del diritto e della religione – se non un’applicazione pratica del concetto di uguaglianza senza fratellanza?
Papa Francesco è intervenuto sul tema con chiare parole: “Oggi più che mai è necessario riportare la fraternità al centro della nostra società tecnocratica e burocratica – ha affermato nel corso di un’udienza generale in San Pietro (18 febbraio 2015) – allora anche la libertà e l’uguaglianza prenderanno la loro giusta intonazione. La storia ha mostrato a sufficienza che anche la libertà e l’uguaglianza, senza la fraternità, possono riempirsi di individualismo e di conformismo, anche di interesse personale. I cristiani vanno incontro ai poveri e deboli non per obbedire ad un programma ideologico, ma perché la parola e l’esempio del Signore ci dicono che tutti siamo fratelli…”.
Parole e concetti che ritroviamo trasposti sul piano poetico nella sensibile interpretazione degli autori partecipanti al Premio letterario Il linguaggio dell’anima, dedicato alla memoria del poeta Giuseppe Jovine.
Dall’antologia del Premio, pubblicata a cura dell’editore IF Press (www.if-press.com/it/), proponiamo ai nostri lettori quattro belle poesie, che c’invitano a riscoprire il valore della fratellanza.
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IO, PAOLA, RAGAZZA DISABILE
di Marco Righetti
Tralcio imprevisto
nella vite di mia madre
assaporo il pane dei giorni,
sono argilla morbida
nelle mani di Dio
celata nella mia veste musiva
(una tessera dopo l’altra,
il lento posarsi degli anni)
ho rifatto il catalogo della bellezza
perché vi fermiate a me,
semina nella notte,
a questa rugiada
che mi vela occhi e pensieri
e non chiarisce cosa c’è sotto
anche domani il mio corpo
sarà diluvio e sole,
poesia che precipita nella carne,
sono Paola e mi chiamo attesa e desiderio
ogni giorno tolgo il buio
smuovo un po’ d’acqua nel mare,
tutto vive senz’orma.
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A UN CLOCHARD QUALUNQUE
di Giuseppe Mandia
Lancio la rete dei miei occhi
in un mare di stracci
– nauseabondi filtri alla radice del tuo essere –
mentre cerchi di proteggere pene e differenze
da due insensibili muri nemici.
Una pelliccia di gioielli
regge l’ultimo dei suoi eredi
e canta l’inno alla diffidenza
rifacendosi all’albero del nulla,
schivando le tue rughe dell’Est
che abiti assieme a invisibili e remoti
giorni da avvocato di poveri cuori.
S’impunta il viso innocente,
fruga tra le cerniere ruvide
che la non-vita ti ha stretto attorno
e ripone nella sua cartella
sessanta estati e sessanta inverni
caritatevoli che hai diviso
tra libri, affetti, sogni e stazioni.
Legge e sospira, una moneta ti dona,
quell’anima candida
strapazzata da guanti frettolosi.
Riuscirà il nostro mondo a fermarsi
e soffiare a chiunque una carezza sul cuore?
Sorride quel bambino
quando gli sfiori la mano.
Un istante. Non chiede compenso il tuo gesto,
semplice briciola d’affetto.
***
INSHALLAH
di Carmelina Giancola
Testimoni silenziosi sono le barche
che contano i passi sui sentieri di ignoti percorsi.
I volti sembrano uguali ed hanno sguardi assopiti
da parole rivoltate nel vento…
sotto stelle ammutolite.
Nel richiamo del mare tormentato,
ricercano pace in una nuvola che trema,
nell’alito salmastro, nel dondolio dell’onda.
Lasciano tracce sulla riva di conchiglie,
e tendono le braccia agli scogli dell’approdo
mentre il sole sgargiante fiorisce lontano dal molo.
Vanno verso il lido dei fiori, come fogli sgualciti
dal mare.
Camminano nella valle lacerata
dal canto d’usignolo, tra polvere di mandorle
e grida di zagare smarrite.
Riposano attoniti e addentano pani
tra recinti di ciliegi, dove scintilla, stupefatta
la rugiada.
Lì si sparpagliano gli aliti crucciati,
e s’odono balzanti preghiere tra ginocchia piegate
mentre il tramonto pennellato di colori
arpeggia nel cielo imbronciato.
E i barconi arenati tra stelle marine
e pigolii di gabbiani, lasciano in mare
essenze segrete e le ninna nanne di pelle nera.
Voci infantili dal fiato delicato
stese in lenzuola di lacrime salate.
Così finiscono i sogni di tanti bambini
vestiti di neve, tolti al sole tra sgomento
e abbandono.
E nella stanza addobbata di conchiglie
si legge il passato del mare azzurro e sconsolato…
***
I COLORI DELLA LUCE
di Fabiano Di Nuccio
Il colore più bello è quello della luce
che vede la colomba nello sguardo dell’amata
la prima volta che vede gli occhi al mattino…
la luce degli occhi che vede per la prima volta
la mamma nel suo bambino,
i colori del verde sconfinato
dove l’uomo ancora non ha fatto terra bruciata,
la luce che riflette il mare nelle sue onde dorate,
la luce dei tuoi occhi quando mi hai sorriso
dicendomi che ami un altro…
la luce che viene e che va
del sole della luna e delle altre stelle.
La luce del filamento d’erba
che spunta tra i due popoli dopo la battaglia
e ne annuncia il rinsavire…
la luce del flauto che suona
tra tre bimbi di colori diversi
che il pomeriggio risolvono
il problema di matematica insieme
e imparano a condividere i loro problemi
per poi giocare a vivere in compagnia…
una luce che per loro la sera si deve spegnere
per farli riposare meglio…
ma che non si deve mai spegnere
per chi deve risolvere il problema
di chi la sera non ha un letto
e a mezzogiorno non ha un piatto!
***
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Poesia della fratellanza
Fabiano Di Nuccio, Carmelina Giancola, Giuseppe Mandia, Marco Righetti tra i finalisti del premio letterario “Il linguaggio dell’anima”