Si fa fatica oggi a parlare in un qualsiasi consesso di una evidente schiavitù dell’uomo verso il suo corpo. Il rischio più frequente è quello di essere considerati dei soggetti con problemi sociali o psicologici personali ben strutturati e utilizzati, come per un tema del genere, magari per sconvolgere la serenità altrui. Ad ogni modo il problema è serio, molto articolato e soprattutto sta alla base di una deformazione dello stesso valore dell’uomo, che è stato fatto, non dimentichiamoci, ad immagine e somiglia di Dio. Riflettere il Creatore nelle azioni quotidiane non significa sostituirsi a Lui; né al contrario affidarsi solo alla logica umana può spingere ognuno ad una autonomia incondizionata.
Non è altrettanto corretto delineare una distinzione tra cielo e terra, tale da pensare che l’essere umano possa eludere i misteri soprannaturali divini, senza che questi precedano il corso naturale dell’umanità. La società odierna di solito non si ferma dinnanzi al buon senso, quando al primo posto vengono piazzati interessi materiali consistenti che fanno del corpo l’idolo per eccellenza. C’è perciò il rischio, come scrive in una sua riflessione Mons. Costantino Di Bruno, che “il dio corpo” attuale somigli sempre di più ad un nuovo “Moloc”, pronto a pretendere un uomo tutto ad esso sacrificato, comprese “la sua intelligenza, la sua scienza, tutte le sue energie spirituali”.
Una scelta che mistificando il corpo umano pone ai margini valori ed insegnamenti che sono alla base del progresso sostenibile; della cultura della pace e della fraternità. Questo non significa che bisogna isolarsi su una montagna e contemplare il cielo fino al termine del tempo terreno concesso ad ognuno. Il corpo va curato e rispettato, senza comunque inchinarsi allo stesso. Proprio Gesù lo guariva in ogni suo segmento. Cechi, storpi, paralitici, lebbrosi, moribondi, trovavano conforto e salute fisica al suo passaggio, al solo credere nella sua forza di poter vincere ogni male corporale e spirituale.
Il vero senso dell’operato del Figlio dell’Uomo, nonché della sua attenzione anche alle malattie di chi lo avvicinava, lo scopriamo in questo ulteriore pensiero di mons. di Bruno, tratto da un suo scritto molto fermo su uno degli aspetti centrali della vita umana. “Gesù compie miracoli. Apparentemente sembra che Lui serva il corpo dell’uomo. In Lui il servizio al corpo è un servizio reso alla sua verità. In Lui il miracolo è segno perché l’uomo veda Lui come vero uomo di Dio, vero suo profeta, vero messaggero del Padre e accolga la sua Parola come purissima Parola di Dio per la salvezza della sua anima, del suo spirito, del suo corpo. La vera salvezza del corpo non è il miracolo. È la sua liberazione domani dal fuoco eterno e questo miracolo lo compie la Parola di Gesù”.
Un vero credente sa che se il Salvatore avesse servito il corpo per il corpo, non considerando la salvezza eterna dell’individuo guarito da una qualsiasi infermità, la sua opera sarebbe stata ricordata nella storia come quella di un qualsiasi uomo straordinario. Un qualcuno che è riuscito a fare delle cose fuori dalla portata comune, ma nulla di più. Un uomo probabilmente illuminato, ma che niente ha da spartire con la missione affidata a Cristo dal Padre Celeste che lo aveva dichiarato e confessato come il Figlio suo, l’Amato, fattosi uomo pere redimere un mondo perduto. Sarebbe un grave errore storico e spirituale considerare l’azione del Messia come asservita alla guarigione del corpo.
La persona stessa guarita ha invece un debito di riconoscenza verso Dio che, se non onorato, non gli consentirà di raggiungere la sua salvezza eterna, aggravando di riflesso quella di tutti coloro che le stanno vicino e che hanno perso l’occasione di specchiarsi in un comportamento corretto e autentico, rispetto all’insegnamento evangelico. Tanto è lontana la grazia ottenuta dall’asservimento al corpo di riferimento, quanto è l’illusione di essere salvati solo perché miracolati.
Specie il credente non dovrebbe mai dimenticare, osserva ancora mons. Di Bruno, che “ogni miracolo ricevuto e da essi non trasformato in fede nella sua Parola per la salvezza eterna della loro anima, saranno chiamati in giudizio da Dio. Hanno ricevuto il segno della verità di Cristo, hanno rifiutato la Parola di Cristo, come unica e sola Parola di vita eterna. Sono essi i responsabili della loro perdizione eterna. La loro sarà una dannazione molto più dura di quella di quanti non hanno conosciuto né Cristo e né la sua Parola”.
Tutto questo significa che da ogni grazia acquisita, priva di frutti per l’evangelizzazione di se stessi e degli altri, si rimane responsabili per tutta l’eternità. Bisogna perciò fare molto affinché la politica, l’economia, la formazione, la scienza, l’arte, lo sport, ecc., rimangano fuori dalla “moda” di idolatrare “il dio corpo”, se si vuole veramente dare alla collettiva degli indirizzi nuovi e capaci di stimolare prospettive di effettivo cambiamento e reale rinnovamento. La connessione con il cielo non è un atto secondario, ma è di per se stessa un’azione irrinunciabile per non isolare l’uomo dalla sua vera dimensione.
Tutto si può avere a livello materiale, ma se manca il discernimento che solo la Parola può offrire ad ogni essere umano, si rischia prima o poi di arrendersi dinnanzi al mistero dell’universo e dell’eternità di Dio. Una resa che può in molti casi far deragliare chiunque, specie se passa l’idea di potersi sostituire ad ogni elemento di sapienza divina. Il passo a questo punto è breve verso l’esaltazione della propria “coscienza terrena”, dirigendosi di riflesso alla volta dell’assolutezza del corpo umano e delle mille illusioni che è in grado di generare. Una vera capitolazione al falso regime del “dio del corpo”.
Robert Cheaib - flickr.com/theologhia
La resa al “dio corpo” spezza la connessione con il cielo
Tanto è lontana la grazia ottenuta dall’asservimento al corpo di riferimento, quanto è l’illusione di essere salvati solo perché miracolati