Trent’anni dopo, lo Spirito di Assisi è a una svolta

Alberto Quattrucci, responsabile degli incontri internazionali della Comunità di Sant’Egidio, spiega come il dialogo interreligioso sia diventato una componente irrinunciabile per la pace e, dal 1986 ad oggi, abbia dato numerosi frutti

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Il dialogo interreligioso non è un principio astratto o da intellettuali, né fine a stesso ma essenzialmente uno strumento per la pace. Inoltre, il dialogo riguarda tutti, credenti e non credenti, ma la preghiera, sia pure nei diversi modi e forme legati alle varie tradizioni, è un formidabile collante e moltiplicatore. Con questo intento nasce lo “Spirito di Assisi”, di cui quest’anno cade il trentesimo anniversario e che sarà suggellato da Sete di Pace, la tre giorni che, dal 18 al 20 settembre vedrà riuniti papa Francesco e i principali leader religiosi mondiali.
La Comunità di Sant’Egidio è stata il primo movimento laicale a credere in questo percorso, non limitandosi a promuovere i raduni di Assisi o le preghiere per la pace ma attivandosi concretamente per il peacekeeping, in molti casi con successo, come testimonia la vicenda politica del Mozambico (1992).
A colloquio con ZENIT, Alberto Quattrucci, segretario generale dell’associazione “Incontri internazionali uomini e religioni” della Comunità di Sant’Egidio ha spiegato gli obiettivi di Sete di Pace, che si pone, per molti versi, sia come un punto di partenza che come un punto d’arrivo di un lungo cammino di pace.
Dottor Quattrucci, cosa significa per Sant’Egidio vivere il trentennale dello Spirito di Assisi?
L’appuntamento del 18-20 settembre ad Assisi non è soltanto in funzione di ricordare un cammino di trent’anni che la Comunità di Sant’Egidio ha portato avanti, dietro impulso degli ultimi tre pontefici. È anche l’apertura di una nuova grande occasione, in cui le religioni, dato il grande numero e l’altissimo livello degli esponenti religiosi che vi parteciperanno, sono chiamate ad una nuova responsabilità per la costruzione di una nuova cultura della pace, in un mondo in cui la violenza, le guerre e il terrorismo sono molto diffusi. È la chiamata ad un nuovo impegno a lavorare per la pace, laddove c’è la guerra.
Quali saranno i rappresentanti più significativi del mondo religioso, politico e culturale che prenderanno parte alla tre giorni?
Avremo innanzitutto esponenti di livello mondiale delle chiese cristiane protestanti e ortodosse, tra cui il Patriarca Bartolomeo I di Costantinopoli, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, senza contare numerosi vescovi di paesi in guerra. Il mondo cristiano sarà quindi ben rappresentato, anche per la presenza di pastori provenienti da quelle terre bagnate dal sangue del martirio: tra questi l’arcivescovo di Karachi (Pakistan), Joseph Coutts. Avremo rabbini da Israele e dagli Stati Uniti, uno persino dalla Turchia, paese che attualmente vive un momento complesso per tanti motivi. Avremo musulmani da 27 paesi: sunniti, sciiti, muftì, imam, rappresentanti sia del mondo culturale che religioso. I rappresentanti del buddismo, anche loro di altissimo livello, saranno circa 170. Ci saranno anche esponenti del giainismo, dello scintoismo, dell’induismo. Le delegazioni totali sono arrivate a 520, quando martedì scorso, in conferenza stampa, avevamo parlato di 511 delegazioni. Nel 1986, ad Assisi, eravamo partiti con 120 delegazioni, a riprova, dunque, di quanto cammino è stato percorso e di come questo “ruscello” del dialogo interreligioso sia diventato un grande fiume che sta invadendo il mondo, infondendo una grande energia positiva. Anche la presenza dei sei premi Nobel dagli USA, dall’Irlanda, dalla Polonia, dalla Tunisia, dallo Yemen, è un fatto molto interessante. Tutte queste presenze sono la risposta al grande richiamo di San Francesco, suggellato, poi da papa Francesco, di raccogliere nella cittadella di Assisi gente da tutto il mondo per costruire un “grande laboratorio di pace”, come disse San Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986.
Tra i cattolici, una presenza di spicco sarà quella del vescovo di Rouen…
L’arcivescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun, ha portato ieri sera nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, il breviario di padre Jacques Hamel, inserendolo nel sacrario delle memorie dei martiri del XX e XXI secolo di tutte le confessioni cristiane del mondo. Domenica 18, nel quadro dell’assemblea di inaugurazione, ascolteremo anche la testimonianza di monsignor Lebrun, sulla tragica conclusione di una vita così bella e così aperta al dialogo interreligioso, com’è stata quella di padre Hamel.
C’è quindi una sorta di filo rosso che lega il dialogo interreligioso e il martirio?
Il dialogo non è mai fine a se stesso, non è guardarsi negli occhi e dirsi: “che bello, siamo amici”; significa collaborare per costruire la pace tra uomini di religioni diverse. Quindi, chi lavora appassionatamente per questo dialogo per la costruzione della pace, nel momento stesso in cui abbraccia questa passione, è già un ‘martire vivente’. È chiaro che quando questa passione prende, diviene in qualche modo irrinunciabile. Non ognuno di noi è chiamato al martirio ma chiunque è chiamato a vivere questa passione fino alla fine come la cosa più bella e più importante. Non a caso, la follia di questo mondo, con questo terrorismo che si tinge di religioso ma religioso non è (è solo un gusto del macabro, un frutto della solitudine, della disperazione, della dispersione, dell’individualismo e della divisione) va a colpire proprio quelle persone più appassionate al dialogo, che, non rinunciano a viverlo, quindi pagano con la propria vita.
Momento culminante dell’incontro sarà l’intervento del Santo Padre, previsto martedì: possiamo azzardare che Francesco sia il Papa che più ha recepito e messo in pratica lo Spirito di Assisi e che, in un certo senso sia, il più in sintonia con gli intenti della Comunità di Sant’Egidio?
Papa Francesco è in sintonia con noi ma soprattutto in sintonia con il Vangelo di Gesù. Sant’Egidio collabora con lui sin da quand’era arcivescovo di Buenos Aires. Ma ci fu sintonia anche con Giovanni Paolo II e con quell’intuizione che fu Assisi nel 1986, primo frutto tangibile, concreto e profetico del Concilio Vaticano II ed in particolare della Nostra Aetate, un documento di appena cinque capitoli ma enorme come portata storica e profetica. Giovanni Paolo II intuisce questo e lancia l’incontro del 1986, da cui poi deriva quello Spirito di Assisi, che ha continuato ad essere diffuso in molti paesi del mondo. In questa linea si sono posti anche Benedetto XVI e papa Francesco. Mi permetto comunque di aggiungere che, rispetto ai precedenti incontri, c’è una novità: oggi, in maniera ancor più chiara il dialogo si presenta non come una timida scoperta dell’altro o una forma di legame e di unione ma come uno strumento fondamentale e formidabile per costruire la pace. Il dialogo tra le religioni diventa un mezzo per trasformare il mondo in un mondo di pace. È la diplomazia spirituale che può trasformare il mondo: penso a quello che ha fatto papa Francesco con Cuba e Stati Uniti, o a quello che sta facendo adesso con la Cina. In questo senso è chiaro che, nei giorni di Assisi, il dialogo sarà a 360 gradi, senza alcuna paura di affrontare i punti critici e drammatici del mondo che stiamo vivendo ma soprattutto, senza la paura di raccogliere le domande e le grida di tanti rifugiati e perseguitati, per impegnarci a trovare una risposta. Il dialogo è uno strumento per costruire la pace: uomini di religione e politici insieme. Non un fine ma un mezzo per costruire la pace, altrimenti diventa un salotto per intellettuali, sicuramente non quello che vuole papa Francesco.
Ritiene che anche le recenti iniziative dei musulmani in chiesa e dei cristiani in moschea, siano un frutto dello Spirito di Assisi?
Il dialogo è sempre qualcosa di concreto, altrimenti si limita ad essere un fatto filosofico e intellettuale. È una delle espressioni più concrete dello Spirito di Assisi, quello Spirito che ci fa dire: siamo diversi ma reciprocamente preziosi e vogliamo collaborare per costruire la pace, perché al fondo di ogni religione c’è la ricerca della pace. Poi è chiaro che spesso gli uomini, travisando tutto questo, abbiano tradito questa visione della religione oppure l’abbiano usata per giustificare la guerra o la violenza. Però, alla radice di ogni religione, c’è la pace. Questa risposta è quindi un inizio ma è una risposta che deve crescere per rispondere all’Isis o ad un utilizzo totalmente improprio di qualsiasi religione ai fini della violenza. Quindi è lo Spirito di Assisi che continua a dare i suoi frutti, così come li ha dati negli ultimi trent’anni. Cosa sarebbe il mondo senza il dialogo e senza la preghiera? Quando il Papa è andato a Bangui e lì ha aperto la prima Porta Santa, di lì a poco ha incontrato i 14 candidati, che poi hanno dato vita ad elezioni democratiche, consolidando lui stesso, con la sua presenza, la sua preghiera e le sue parole, una pace che, pian piano, è stata costruita ed è stata vissuta. Ci sono tanti altri segni, penso a Mozambico nel 1992, potremmo parlare di altri diciotto negoziati di pace, nati e sgorgati dallo Spirito di Assisi che ci hanno coinvolto come Comunità di Sant’Egidio, assieme a tanti altri uomini e donne di varie religioni, che hanno collaborato con politici e gente investita di responsabilità importanti nei vari paesi. Non sempre questo riesce ma in tanti luoghi è sbocciata la pace.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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