Il primo incontro interreligioso di Assisi (27 ottobre 1986) fu un “fatto senza precedenti” che “squarciò il muro del pessimismo e della rassegnazione, in un mondo ancora diviso dalla cortina di ferro” e dove “la guerra, seppure fredda in molte situazioni, era considerata una compagna inevitabile della vita degli uomini”.
Con queste parole, dalle colonne de L’Osservatore Romano di domani, il cardinale Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, offre una sua personale riflessione nel trentennale di un evento che “era il frutto di una lunga stagione di dialogo”, durata per l’intero Novecento, un cui passaggio decisivo fu la dichiarazione Nostra Aetate, del Concilio Vaticano II, sulle relazioni del cristianesimo con l’ebraismo, l’islam e tutte le grandi religioni.
Quella di Assisi fu, secondo Parolin, “una preghiera senza commistioni sincretistiche, ma rispettosa delle diversità”, in cui, come spiegò in quell’occasione lo stesso San Giovanni Paolo II, tutti i credenti si fecero artefici di un “nuovo linguaggio di pace” che spezzava le “catene fatali” delle “moderne ideologie”.
Da allora, numerosi altri incontri sono sorti nello spirito di Assisi, in controtendenza con la “evoluzione storica di questi ultimi trent’anni, che ha visto rinascere con accresciuta forza processi identitari di contrapposizione”, parallelamente a “fenomeni terroristici in varie crisi che hanno toccato soprattutto il Medio oriente”.
In quest’epoca, in cui si sperimenta molto più che in passato, per via dell’immigrazione, convivono “genti di religione o di etnia diversa”, tutti sono sempre più “destinati a incrociarsi con chi è diverso da sé” ed è sempre più evidente “la ricchezza di pochi e la miseria di tanti, come spesso ci suggerisce Papa Francesco”.
Questa convivenza tra gruppi eterogenei è purtroppo accompagnata da “fenomeni preoccupanti che sono sotto i nostri occhi: individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi, terrorismo”, sottolinea il Segretario di Stato.
Assisi 1986, tuttavia, ha fatto da apripista a quella “arte del convivere così necessaria in una società plurale come la nostra”. Da parte loro, “le religioni non hanno la forza politica per imporre la pace ma, trasformando interiormente l’uomo, invitandolo a distaccarsi dal male, lo guidano verso un atteggiamento di pace del cuore”. Ogni religione, nessuna esclusa, “ha un’energia di pace, che deve liberare e manifestare”, ha aggiunto il porporato.
Sebbene ogni religione abbia “la sua strada”, tutte hanno “una responsabilità decisiva nella convivenza: il loro dialogo tesse una trama pacifica, respinge le tentazioni a lacerare il tessuto civile, a strumentalizzare le differenze religiose a fini politici”.
Tali potenzialità, tuttavia, non trovano possibilità di espressione, se gli uomini di fede non manifestano il loro “coraggio” e la loro “audacia”, per abbattere “con la forza morale, con la pietà, con il dialogo, i tanti muri di separazione che si alzano nel mondo”.
Le religioni hanno infine la forza di ricordare al mondo “che il destino dell’uomo va al di là dei propri beni terreni e che si inquadra in un orizzonte universale, nel senso che tutti gli uomini sono creature di Dio”.
Anche di fronte, dunque, allo “sconcerto” e allo “spaesamento” per i “conflitti” e il “terrorismo globale” crescenti, Assisi 1986 rimane un punto di riferimento anche in un mondo in cui “si parla troppo spesso di guerra di religione o di civiltà”.
“Se dal 1986 tanto è cambiato in bene, il cantiere della pace è ancora aperto in molte parti del mondo e le sofferenze prodotte dalla guerra non sono ancora finite”, conclude quindi il cardinale Parolin.
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Spirito di Assisi. Parolin: “Da 30 anni, punto di riferimento di pace”
Secondo il Segretario di Stato, in un momento in cui molti parlano di “guerra di religione”, è necessario che i credenti mostrino “audacia” per abbattere definitivamente i muri