Una piccola branda con una coperta a scacchi bianca e blu, un crocifisso, una scrivania con una statuina della Madonna di Fatima, e di fronte un mobile in legno chiaro dove poggiare alcuni libri, sotto un’icona di San Francesco d’Assisi. Non serviva nient’altro a Madre Teresa nei suoi lunghi soggiorni romani, tantomeno la Santa chiedeva per sé particolari privilegi quando veniva a trovare le sue suore, le Missionarie della Carità di cui era fondatrice, nella loro Casa a San Gregorio al Celio.
L’umiltà evangelica, riconosciuta come uno dei tratti distintivi della suora albanese, canonizzata da Papa Francesco lo scorso 4 settembre, traspare anche in questo: una stanza di 9 metri quadrati a malapena che trasuda spiritualità e povertà da ogni crepa.
In occasione dell’esposizione delle reliquie nell’annessa Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Celio, questo scorcio di vita della Madre è ora fruibile dal pubblico. Sono numerosi, infatti, i fedeli che si stanno recando al Monastero a partire da ieri, da quando cioè la teca contenente un batuffolo intriso di sangue della Santa è stata trasferita dalla Basilica di San Giovanni in Laterano in questo luogo di verde e di pace, a due passi dal Colosseo, dalla sede della Fao e dalle Terme di Caracalla.
Lì, dal 7 ottobre del 1950, ogni giorno vengono accolti e accuditi poveri, senzatetto, ragazze madri, bambini, famiglie; alcuni hanno ormai residenza fissa da anni, tutti ricevono un posto gratuito per riposarsi e un pasto caldo per rigenerarsi. Un apostolato che viene svolto in egual modo nelle altre Case delle Missionarie sparse per Roma: in Vicolo Tor Fiscale, in via Casilina, in via Sant’Igino Papa nel quartiere Primavalle, in via dell’Archeologia nella famigerata Tor Bella Monaca e in via Sant’Uffizio, a pochi metri dal Colonnato di San Pietro.
Il centro nevralgico dell’operato delle suore di Madre Teresa a Roma è, tuttavia, la struttura al Celio perché è lì che tutto è nato ed è lì che la Madre risiedeva, come ci spiega una suora chiarendo di star fornendo una ‘informazione di servizio’ e non una dichiarazione alla stampa. È notoria, infatti, la totale distanza delle Missionarie della Carità da qualsiasi cosa che abbia una parvenza di un’intervista; quasi una ‘regola’, questa, imposta da Madre Teresa stessa che nella sua vita rilasciò pochissime interviste.
Le suore preferiscono esprimersi con i gesti piuttosto che con le parole; perciò, laddove si mostrano restie con cronisti e telecamere, sono invece disponibilissime a soffermarsi con i pellegrini, ad accompagnarli e fornire loro informazioni, a pregare insieme. In questi giorni cercano soprattutto di gestirne il flusso visto anche lo spazio ristretto di questo corridoio in cui sono situate le stanze – ristrutturato in occasione della canonizzazione – dove, sulle pareti dipinte di bianco, sono affissi quadri e fotografie di Madre Teresa con Giovanni Paolo II o una lavagna che riporta i messaggi dei fedeli che vi transitano.
Cordiali ma attente ad evitare che si entri con le scarpe o che si scattino foto nella cappellina dove campeggia il crocifisso con la scritta “I Thirst”, le suore distribuiscono ad ogni pellegrino santini, medagliette d’argento o volantini con le preghiere della Madre in diverse lingue. Con qualcuno rimangono anche a parlare, in disparte, non negando, se necessario, una parola di conforto o un sorriso. Quello che – diceva il Papa nella Messa di canonizzazione – era lo strumento di Madre Teresa per dialogare con gli uomini di qualsiasi lingua, cultura, religione.
Lo stesso sorriso lo offrono le altre due suore, vestite con il tipico sari bianco e blu, che vegliano sulla reliquia in Chiesa, collocata sotto il ritratto della Santa. A fianco ad essa, sopra un tavolo coperto da una tovaglia bianca, è posizionato un cesto di rosari; ogni pellegrino può prenderne uno e darlo alle suore che lo poggiano delicatamente sulla teca in legno e vetro. Così che chiunque possa riportare a casa la benedizione di colei che voleva essere “Madre di tutti”.