La pagella di San Giuseppe Moscati

Una riflessione sul medico che diceva: “La prima medicina è l’infinito Amore”

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Prof, quest’anno andiamo a Napoli in gita, ci accompagna?” urla Giorgio, con la voce piena di entusiasmo partenopeo.
Napoli? Bellissima!!! Allora sapete che facciamo? Oggi si cambia lezione; vi farò conoscere Giuseppe Moscati!” e volgendomi a Sara (la mia alunna al pc, collegato alla LIM) le dico: “Cucciola, vai su youtube che iniziamo con una scena tratta dal film “L’amore che guarisce”.”
La curiosità per san Giuseppe Moscati, tra i miei allievi, è nata così. Galeotto fu il viaggio d’istruzione. Nelle lezioni seguenti molti studenti iniziarono a dirmi: “Prof, io a casa me lo sono visto tutto quel film; è molto bello”
“Il suo amico poi, quel Giorgio Piromallo, si sposa con quella principessa di cui era innamorato Giuseppe Moscati”
 “Nooo!!! Ma come…Giorgio stava con Cloe, la ballerina; era Giuseppe Moscati che stava con la principessa…e come c’è finito, Giorgio, in sposo con la principessa Elena Cajafa? L’ha fregata all’amico? Ammazza eh, che amico!!!”
“E comunque, Giuseppe Moscati è stato un grande. E pensare che io sono di Napoli e neanche lo conoscevo”
Passano le settimane. Una sera mi arriva il messaggio di Francesco: “Prof!!! Ho scoperto che Giuseppe Moscati era il figlio del fratello di mio nonno!!!”
“Ma sul serio???”
 “Si! Ora chiedo a mio cugino se mi manda la pagella…prof, lei crede che con questa parentela diventerò santo anche io?” e ridiamo insieme.
Dopo un po’ Francesco mi manda la foto di questo prezioso documento: è la pagella finale della Maturità classica del santo. Si riferisce all’anno scolastico 1896-97.
Wow! Che voti! Dieci…dieci…dieci…nove…dieci…otto…nove…
Brillante, intelligente, intuitivo, a 23 anni iniziava già la sua carriera medica, fatta di preparazione altissima e di fede profondissima.
Vorrei usare tutti superlativi assoluti per descrivere Giuseppe Moscati.
Dietro ogni formula biochimica era capace di vedere il Logos operante.
Medicina e fede convivevano in lui, rendendolo bravissimo medico e generosissimo uomo.
Per le visite mediche fatte nel suo studio, chiedeva a tutti quel che potevano. Chi dava niente, chi dava un po’, chi dava il giusto (e chi prendeva). Quel che c’era alla fine della giornata lui lo ridistribuiva ai poveri, sotto forme simpaticamente furbe, per non far trovare nessuno in imbarazzo.
Metteva banconote tra i fogli delle ricette, dava appuntamenti al bar per pagare la colazione e, con la scusa, controllava come procedeva la guarigione…
Ad un certo punto dovette vendere anche mobili e quadri per poter avere la liquidità necessaria ad aiutare le tantissime persone che ricorrevano a lui. Il medico dei poveri, lo chiamavano.
Sorrideva ed incoraggiava sempre tutti ma la sua vita è stata talmente densa di fatica, preoccupazioni ed impegni che è morto ad appena 47 anni, il 12 aprile 1927. Erano le tre del pomeriggio; la stessa ora della morte di Gesù.
Quel giorno si era alzato presto come al solito, aveva fatto la comunione ed era andato all’ospedale, dove era atteso da una miriade di pazienti.
Alle 15.00 era seduto sulla poltrona del suo studio. E’ lì che, senza nessun preavviso e senza agonia, venne abbracciato da Gesù e portato in Paradiso.
Durante tutta la sua vita, Dio lo aveva spinto ad andare al di là delle regole che tanto andavano di moda, allora.
Quel distacco tra malato e dottore che sembrava così utile per affermare le proprie competenze mediche, non incantavano Giuseppe Moscati. Quel tempo massimo di sette minuti che, da tradizione ospedaliera, bisognava dedicare al malato, non piaceva al giovane dottore che desiderava istintivamente “ascoltare” la persona e non solo studiare la malattia.
Un paio di Giuseppe Moscati in ogni policlinico e risolveremmo un sacco di problemi.
La sua attività scientifica fu vastissima e le sue pubblicazioni numerosissime (scusate, ma devo usare di nuovo i superlativi). La sua preparazione sempre aggiornata ed il suo intuito medico, gli avevano fatto conquistare la stima di tutti.
Proprio per questo fu chiamato al capezzale del grande tenore Enrico Caruso che era tornato malato dagli Stati Uniti: lui, tra gli altri luminari, fu l’unico a capire che si trattava di ascesso subfrenico.
E’ lui, durante l’epidemia di colera del 1911, a suggerire le misure di igiene pubblica che consentiranno di sconfiggere la malattia in tutta Napoli.
E’ sempre lui che, nel 1914, di fronte alla morte della madre per diabete mellito, inizia a studiare la malattia arrivando ad essere fra i primi d’Italia ad usare l’insulina per curare il diabete.
Ogni difficoltà, con lui, diventava un’opportunità per capire meglio e per migliorare la vita di tutti.
Morì con la fila dei malati fuori dal suo studio ed oggi vive in Paradiso con le file dei malati avanti la sua tomba, a Napoli, nella chiesa del Gesù Nuovo. San Giuseppe Moscati, infatti, è il protettore dei malati e, a guardare la mole di ex voto presenti nelle “Sale Moscati” (adiacenti alla chiesa), continua ad intercedere dal paradiso per tutti i malati che si rivolgono a lui.
Come Costantino Nazzarro, maresciallo degli agenti di custodia guarito miracolosamente da san Giuseppe Moscati.
E’ il 1923 e Costantino, che ha sempre goduto di ottima salute, inizia ad avere dolori alla colonna vertebrale ed un ascesso freddo alla radice della coscia destra.
Ricoveri, cure, ospedali; niente sembra farlo guarire. Anzi: inizia un indolenzimento ed un ingrossamento dell’epididimo destro di origine tubercolare che, nonostante le cure, gli si propaga anche a sinistra.
Il tragico verdetto medico è “morbo di Addison”; una patologia rara che lo fa peggiorare di giorno in giorno. I dottori parlano tristemente di sicura morte. Allora non si conoscevano casi di guarigione e la terapia serviva solo a prolungare la resistenza del malato.
Un giorno della primavera del 1954 Costantino entra nella chiesa del Gesù Nuovo e prega san Giuseppe Moscati. Poi decide di tornare lì ogni quindici giorni, per quattro mesi.
Una notte dell’estate tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1954, Costantino sogna di essere operato dal dott. Moscati. Lo vede sostituire la parte atrofizzata del suo corpo, con tessuti vivi. Alla fine del sogno il santo gli dice di non prendere più alcuna medicina.
Costantino si sveglia, dopo tanti anni si sente bene e si ritrova perfettamente guarito. Tanti medici lo visitarono ma nessuno riuscì a spiegare la sua totale ed improvvisa guarigione.
Credo che anche in Paradiso san Giuseppe Moscati continui a prendere dieci nella sua pagella!
“Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità”
(Giuseppe Moscati)
(Fonte www.intemirifugio it)

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Maria Cristina Corvo

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