Foto: © Presidenza della Repubblica - Quirinale.it

Terremoto, funerali solenni ad Ascoli. Il vescovo: “Non sarete lasciati soli"

Alle esequie delle vittime, mons. Giovanni D’Ercole ha ammesso: “Ho chiesto a Dio: ‘E ora che si fa?'”. Poi un messaggio di speranza: “Le campane dei nostri paesi sono crollate, ma riprenderanno a suonare”

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Tutto quello che c’era prima, ora non c’è più. La casa in muratura dove trascorrere l’estate coi nonni, i mobili e gli oggetti acquistati nel tempo e conservati con cura, le attività e i negozi portati avanti, a volte con fatica, nel corso degli anni. Per molti non ci sono più nemmeno i propri cari: madri, padri, fratelli e sorelle, cugini, zii, nonni, uccisi da quelle violente scosse di mercoledì scorso o schiacciati dai cumuli di macerie nonostante il lavoro febbrile dei soccorritori.
Quel tremendo terremoto del 24 agosto ha devastato non solo i territori del Centro Italia ma la vita di centinaia di persone. Circa 290 le vittime, la maggior parte nel comune laziale di Amatrice, 35 nelle Marche (proprio oggi salite a 50). Per loro in mattinata sono stati celebrati i funerali in forma solenne, presieduti dal vescovo di Ascoli-Piceno mons. Giovanni D’Ercole. Lo stesso vescovo che la notte del sisma non ha esitato a mettersi in macchina dopo la prima scossa di magnitudo 6.8 e andare a confortare gli sfollati o scavare con le sue stesse mani tra le macerie di Pescara del Tronto, paese raso al suolo.
Le esequie si sono svolte nella palestra comunale di Monticelli ad Ascoli. Un luogo simbolico: una palestra, come quelle che ora accolgono gli oltre 200 sfollati, come quelle in cui giocavano e praticavano sport i bambini prima che la loro vita prendesse questa drammatica svolta.
Lo scenario lì era straziante: le 35 bare erano uguali allineate sotto l’altare, si distinguevano solo due più piccole, quella di Giulia, 9 anni, e quella di Marisol, di soli 18 mesi, decorate con un mazzo di fiori bianchi. Tanti i parenti seduti in mezzo ai feretri, in lacrime o con lo sguardo perso nel vuoto; qualcuno si è anche sentito male, per la commozione o per il caldo, ed è stato portato fuori.
In generale era un clima di dignitosa compostezza quello che si respirava, dato anche dalla presenza delle più alte cariche dello Stato: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi, i presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso. A fianco a mons. D’Ercole sull’altare, anche mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, tornato in fretta nei giorni scorsi da Lourdes dove si trovava in pellegrinaggio.
Una tragedia troppo grande per il nostro Paese che chiude un’estate già colma di vicende negative. Un evento così doloroso davanti al quale anche un vescovo – ha ammesso mons. D’Ercole nella sua omelia – si pone quesiti angosciosi. “Questa notte, preparandomi a parlare a voi e a tutte le persone convenute, ho rivolto questa domanda a Dio: ‘E adesso che si fa?’. A nome mio, nel nome di questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra, mi sono rivolto a Dio Padre, suscitato dall’avvilimento di esseri umani derubati dell’ultima loro speranza e gli ho detto: ‘Signore, ma queste persone che hanno perso tutto, che sono state strappate alla loro famiglia, che sono state sventrate dal terremoto, ora che fai? Che fai?”.
Sono le stesse domande che si è posto anche Giobbe, uomo giusto che sembra abbandonato da Dio, di cui parlava la Prima Lettura. La risposta è nella fede, che “in un mare in tempesta” è come “la scialuppa di salvataggio”. “Se appena voi guardate oltre le lacrime, voi scorgerete qualcosa di più profondo. Anche voi con me oggi, potete testimoniare che il terremoto, con la sua violenza, può togliere tutto – tutto! – eccetto una cosa: il coraggio della fede”, ha affermato mons. D’Ercole.
E ha proseguito: “‘Al tuo Dio, don Giovanni, importa nulla se noi moriamo?’ mi hanno chiesto un giorno. Dio – sì, è vero – pare tacere. Le nostre sembrano delle chiamate che non hanno risposta. Dio però – lo so, lo sento – è un padre; e un padre non può mai rinnegare la sua paternità”.
A tutti i presenti, specialmente i sopravvissuti e i giovani, il presule ascolano ha rivolto quindi un messaggio di speranza: “Amici, le torri campanarie dei nostri paesi, che hanno dettato i ritmi dei giorni e delle stagioni, sono crollate, non suonano più. Ma un giorno esse riprenderanno a suonare, e sarà il giorno della Pasqua”.
“Non abbiate paura di gridare la vostra sofferenza, ma non perdete coraggio” ha aggiunto. “Quando penso al terremoto mi viene in mente l’aratro che spacca la terra, dissoda, ma sotto il solco che lascia rinasce la vita. Ecco, sotto le macerie c’è qualcosa che dice a noi che le nostre campane torneranno a suonare”. “Insieme – ha assicurato D’Ercole – ricostruiremo le nostre case e chiese, insieme ridaremo vita alle nostre comunità, a partire proprio dalle nostre tradizioni e dalle macerie della morte”.
Di qui un ricordo commosso delle vittime, in particolare di due sorelline ritrovate morte dai Vigili del Fuoco abbracciate: “Una ce l’ha fatta, l’altra è morta stringendo a sé la sorella, come a farle da scudo dalla morte che l’ha strappata via…”.
In conclusione mons. D’Ercole ha ringraziato il Papa e tutti coloro che si sono attivati per le vittime del terremoto. Alle istituzioni ha chiesto di non abbandonare i terremotati e da parte sua ha promesso: “Per quanto mi riguarda, finché vivrò non vi abbandono. Non abbiate paura. Non sarete lasciati soli, mi raccomando però non perdete il coraggio… Oggi ci sono i riflettori accesi, domani si spegneranno. Non deve mai mancare la solidarietà. Le nostre campane torneranno a suonare”.
In un silenzio spezzato dal pianto sono stati letti poi uno ad uno i nomi dei defunti. Al termine della Messa, il vescovo ha poi abbracciato i familiari delle vittime presenti. Lo stesso abbraccio è stato ripetuto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che questa mattina, intorno alle 8.30, si è recato in elicottero ad Amatrice. Accompagnato dal sindaco Sergio Pirozzi, il capo di Stato si è incamminato a piedi tra le strade di un paese che ormai non c’è più. Insieme sono andati al centro operativo e ai Vigili del Fuoco e agli altri soccorritori che lavorano incessantemente da ore tra le macerie, ha stretto le mani dicendo: “Grazie per tutto ciò che state facendo, uno sforzo straordinario”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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