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“Nella diplomazia pontificia spicca il valore aggiunto della misericordia”

Lectio magistralis del Segretario di Stato vaticano a Pordenone in occasione dell’appuntamento annuale con la Libreria Editrice Vaticana

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Qual è la relazione tra la diplomazia pontificia e il Giubileo della Misericordia? Il tema è stato sollevato dal cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, in occasione della sua lectio magistralis sul tema L’impegno diplomatico come esercizio di giustizia e misericordia, tenuta oggi pomeriggio a Pordenone, in occasione dell’annuale appuntamento con la Libreria Editrice Vaticana
Secondo il porporato, la risposta è ovviamente affermativa, dal momento in cui, “l’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia” (Misericordiae Vultus, 10), quindi coinvolge ogni aspetto della vita pastorale, compreso quello della diplomazia pontificia, che, “pur saldamente ancorata alla sua natura e ai suoi compiti tipicamente ecclesiali che la pongono a servizio della missione della Chiesa universale, resta proiettata nell’opera di garantire l’ordinata convivenza mondiale, quell’auspicato tempo di pace a cui ripetutamente ci richiama il Magistero della Chiesa”.
Nelle relazioni internazionali, tuttavia, non mancano di “imporsi desideri di contrapposizione e di potenza capaci di giungere alla violenza e alla forza, o almeno a giustificarle”. C’è di più: “Di fronte alla violenza, al diniego di giustizia, all’esclusione, al fatto bellico come unica risposta ai problemi di coesistenza, la diplomazia sembra aver dimenticato la sua natura di risorsa capace di colmare la faglia di rottura dei rapporti e della convivenza nella Comunità delle Nazioni”, ha commentato Parolin.
La persistenza di molte guerre, “frutto di rapporti di forza prolungati, senza un preciso inizio e una fine certa” è uno dei fattori che impongono “alla diplomazia di assumere connotazioni sempre più innovative, capaci di andare oltre la normalità o la semplice ripetizione di cliché tradizionali o anche di ricorrere a formule preordinate sulla cui efficacia la pratica internazionale pone non pochi dubbi di validità”.
Nella visione di Bergoglio, tuttavia, la diplomazia non può limitarsi a “fermare le guerre in atto” ma deve, piuttosto, porsi come strumento di “coesione preventiva” tra le parti in lite. Un esempio concreto che ha visto l’impegno attivo del Pontefice è stata la pace tra USA e Cuba, dove “non è stato proposto di riscrivere la storia, ma di andare oltre, avendo piena conoscenza e coscienza delle difficoltà e dei tempi necessari”, dando vita a “un fatto positivo, e non solo in termini politici, ma per la convivenza sociale e la stessa dimensione religiosa”.
Compito della diplomazia, infatti, non è solo quello di “analizzare i contesti”, ma anzitutto di “cogliere i cambiamenti nell’applicazione delle regole”, vale a dire “operare con tutti i mezzi possibili, senza porsi criteri che possano escludere una o più parti, rischiando di compromettere in partenza ogni soluzione”.
Serve quindi un “cambio di paradigma” che impone di prestare attenzione non solo “a chi combatte” ma anche “alle vittime della guerra che non possono restare un numero computato al termine o alla sospensione dell’uso delle armi”. È necessaria anche l’attenzione all’“elemento geopolitico”, ai “cambiamenti”, al “dinamismo dei fatti e degli atti posti in essere”, senza dimenticare “la dimensione sociale, culturale e religiosa”.
Recandosi in varie aree geografiche “martoriate dalla guerra”, il cardinale Parolin ha constatato quanto “nelle fasi di transizione che segnano il post-conflitto”, la diplomazia sia “chiamata ad un’azione di riconciliazione partendo dal basso, a livello locale, cercando di superare i differenti livelli di ostacolo”.
La diplomazia deve mirare non solo alla “accoglienza” ma puntare ad una più radicale “inclusione”, intesa “nel suo significato più ampio”, esaltare la “centralità della persona umana e “trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti” (discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, 11 gennaio 2016).
Per la Santa Sede, infine, “la diplomazia non è neutralità, ma vera contraddizione in senso evangelico che si impone con la competenza, l’azione mirata verso la giustizia, ma anche con la misericordia”: non basta il superamento delle disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, serve neutralizzare le “chiusure” e le “esclusioni” e perseguire “una pace rispondente alla realtà concreta che è mutabile e in divenire”.
Nel quadro attuale la diplomazia pontificia si colloca “proponendo oggi il valore aggiunto della misericordia, quale fattore costruttivo e garante dell’ordine internazionale”. Ed è proprio per questo che “la Santa Sede non smetterà mai di operare, lavorando anche con la sua diplomazia, affinché l’invocazione della pace possa essere esaudita fino agli estremi confini della terra”, ha quindi concluso il Segretario di Stato Vaticano.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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