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Pezzi di guerra e vie di pace

La religione è fattore di sviluppo o di guerre? Quale rapporto tra religione e terrorismo? Al Meeting, il punto di vista dell’associazione americana Religious Freedom & Business Foundation

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Ieri al centro dello spazio “Mappe: pezzi di guerra e vie di pace”, a cura di Monica Maggioni, presidente Rai, si è svolto il dialogo con Brian Grim, Presidente dell’associazione americana Religious Freedom & Business Foundation.
Maggioni ha introdotto il dialogo con il sociologo americano mettendo in luce gli stereotipi più diffusi sul tema: “La religione è fattore di sviluppo o fonte di guerre? Che rapporto ha la religione con il terrorismo? Servono misure restrittive o permissive?”
“La sfida più grande che attraversa il tema religioso oggi è quella del terrorismo che porta le persone a dire che il problema è la religione e non chi sceglie il male”.
A partire da questo giudizio, Grim, considerato il massimo sociologo delle religioni contemporaneo, segnala che sta crescendo a livello globale una popolazione laica che non possiede alcuna cultura religiosa e non potrà mai conoscere gli aspetti positivi delle varie fedi, continuando a pensare che la religione è il problema e non la soluzione.
Conoscendo da vicino il contesto del mondo islamico, emerge un quadro molto diverso.
Grim ha risposto riferendo quanto ha studiato in vent’anni di esperienza in contesti di cultura musulmana: “La popolazione di religione islamica presenta il più veloce tasso di crescita al mondo, è quindi una popolazione giovane e numerosa che nel 2050 raggiungerà il numero di cristiani nel mondo. Solo il 20 per cento vive in Medio Oriente, i rimanenti fedeli sono ben distribuiti”.
Il sociologo ha prosegitoe il suo approfondimento facendo riferimento alla Cina, dove ormai il 50 per cento della popolazione è tornata alle religioni del periodo antecedente al comunismo.
“Se la Cina avesse continuato a reprimere il fattore religioso non avrebbe fatto tutti questi passi avanti”. La religione quindi in più di un caso si accompagna alla crescita anche economica, non è un fattore di rallentamento dello sviluppo.
“Tutto ciò che abbiamo ascoltato dal professor Grim delinea un quadro ben diverso da quanto siamo abituati a sentire qui in Occidente. Ad esempio, chi di voi in sala conosce la Dichiarazione di Marrakech?”
Pochissime le mani alzate, com’era facile prevedere. Con questa domanda Maggioni ha introdotto  il video del messaggio che lo sceicco Abdallah Bin Bayyah ha voluto inviare al Meeting, essendo impossibilitato a presenziare per motivi di età e di salute.
Nel video lo sceicco ha illustrato la Dichiarazione di Marrakech del gennaio 2016, della quale è stato il principale promotore, un documento con cui il mondo arabo musulmano ha voluto, dopo anni di lavoro, studio e ricerca, indicare le verità già dichiarate da Maometto stesso nella carta di Medina sui contenuti del Corano.
Si tratta di “una serie di principi conformi alla cittadinanza contrattuale costituzionale, come la libertà di movimento, la proprietà, la mutua solidarietà e la difesa, nonché la giustizia e l’uguaglianza di fronte alla legge”.
“Riteniamo di avere gettato le basi solide per lo sviluppo pacifico dei nostri Paesi”, afferma Bin Bayyah.
Di certo si tratta di un documento che, non senza una buona dose di coraggio, afferma che i componenti di una stessa nazione godono tutti di uguaglianza giuridica, hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa.

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ZENIT Staff

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