Gioele Dix: un inno all’amicizia che sfida la diversità

Martedì prossimo al Meeting di Rimini, il monologo teatrale dedicato alla memoria di un compagno di strada, il ciellino Renzo Marotta

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Tu sei un bene per me è il tema scelto per la XXXVII edizione del Meeting dell’Amicizia e dei Popoli, in corso a Riminifiera dal 19 al 25 agosto. “Mai titolo è stato più appropriato”, commenta Gioele Dix, che parteciperà quest’anno con Diversi come due gocce d’acqua, una pièce dialogica dedicata al suo caro amico ciellino Renzo Marotta, precocemente scomparso trent’anni fa. “In effetti, il mio spettacolo è un inno all’amicizia che sfida la diversità, come anticipa già il titolo: anche due gocce d’acqua al microscopio, sono due entità distinte”, ha spiegato l’artista a ZENIT.
Cosa significa per lei esibirsi al meeting di Rimini, luogo di incontro di persone, culture e religioni diverse?
Si tratta di un’esperienza densa di significato, soprattutto lo è parteciparvi attivamente con una pièce che ricorda il mio amico d’infanzia, che da sempre frequentava Comunione e Liberazione e mi ha subito introdotto nell’ambiente. Per questo ho sempre avuto uno sguardo benevolo e scevro da pregiudizi nei confronti di questo mondo, che mi ha colpito, da ebreo, per la grande capacità di confronto e dialogo interreligioso: un’immensa potenzialità della parola, un trionfo del logos. Nessun luogo è più adatto di questo per commemorare i 30 anni della morte di Renzo.
Come si articola Diversi come due gocce d’acqua, in prima assoluta qui a Rimini il 24 agosto?
Intanto, vorrei premettere che non si tratta di un mero racconto di fatti personali ma è per lo più espressione di sentimenti ed emozioni universali, come l’elaborazione del lutto, la perdita di una persona cara. Il titolo è tratto dalla poesia della polacca Wislawa Szymborska, che descrive perfettamente il rapporto unico ma distintivo che avevo con Renzo. L’impianto narrativo è dialogico, le scene sono invece ambientate su un pontile marino spezzato in due, per simboleggiare l’unicità nella divisione. Si tratta di una narrazione, che descrive tanto l’aulico quanto il basso, che fa sorridere nella tragedia, come capita spesso nella vita, dove al pianto succede il riso, tra la nostalgia e il rimpianto.
A tal proposito, c’è qualche ricordo speciale di lei e Renzo insieme che vuole condividere?
Sì, ce ne sono tanti che hanno caratterizzato i nostri vent’anni d’amicizia, ma sono due, in particolare, gli eventi che rievoco con affetto. Il primo, quando su insistenza di Renzo ho assistito a un convegno di Don Giussani, rimanendo davvero colpito dalla sua dialettica, e dalla sua creatività grammaticale espressa nel conio dell’avverbio “tentativamente”. Inoltre, indimenticabile il primo concerto di Bob Dylan in Europa, al quale assistemmo insieme a Parigi dopo sedici ore di attesa sotto il palco. Dylan e la musica in generale, suonare la chitarra erano le nostre passioni condivise, così come la poesia e la fede. Anche Dylan ci ispirò, non solo per le sue note, ma anche per la sua crisi mistica a metà carriera.
E dunque, quanto la differenza di credo ha inciso sulla vostra amicizia?
La differenza religiosa non è stata per niente un ostacolo ma soltanto uno stimolo a conoscerci meglio. Siamo stati un laboratorio in piccolo del dialogo interreligioso tra ebrei e cristiani, che è sempre stato, peraltro, uno degli obiettivi di Comunione e Liberazione e della Chiesa di Roma. Noi eravamo come due fratelli, non per nascita ma per affinità, uniti, anche, da un’ascendenza comune di fede, come nel 1986 disse anche lo stesso Papa Giovanni Paolo II, in occasione della prima storica visita alla Sinagoga definendo gli ebrei “i nostri fratelli maggiori”. Purtroppo Renzo, che tanto aveva atteso quel momento, era venuto a mancare due mesi prima, per un terribile incidente stradale che a 30 anni lo strappò alla vita.
In virtù di questa bella amicizia, scevra da pregiudizi e dogmi, quale messaggio vorrebbe trasmettere ai giovani musulmani che subiscono, invece, l’incitazione all’odio dell’Isis?
Ritengo di non avere conoscenze necessarie per un discorso serio su un tema così delicato, che sarebbe necessario approfondire, anche con iniziative culturali ad hoc. Posso solo dire che essere fratelli è una bellissima avventura. E anche lo spettacolo nasce come testimonianza di fratellanza.
Lo spettacolo andrà in tournée?
La pièce è stata concepita per andare in scena qui il 24 di agosto al Meeting, su un’idea nata dal mio incontro con il direttore artistico Otello Cenci, il quale già lo scorso anno mi propose di partecipare virtualmente allo show L’impronta. Cuori moderni, nel quale recitavo due poesie di Luzi e mi incentivò a raccontare questa mia esperienza così unica di amicizia. La storia ha dei riferimenti importanti al mondo di Cl e non so ancora valutare quale sarebbe il gradimento del pubblico. In autunno sarò per due mesi in tournée con Il malato immaginario di Molière, in giro per Firenze, Carpi e di nuovo Rimini.
Com’è il suo rapporto con la religione?
È un rapporto fondante, per quanto complicato. La fede non è una passeggiata ma una sfida con se stessi. Ho ricevuto, sin dall’infanzia, una solida educazione religiosa dalla mia famiglia, ma per così dire, “la svolta nel precipizio” è stata la morte di Renzo.

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Rita Ricci

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