Sì alle “onde dell’incontro”, No alle “tempeste del conflitto”

Il manifesto programmatico dei giovani riuniti a Santa Maria di Leuca per l’evento “Mediterraneo, un mare di ponti”

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“Noi, giovani provenienti dai paesi dell’Europa e del Mediterraneo, raccolti in questi giorni nella terra di Puglia, chiediamo a chi governa le sorti dei nostri popoli che faccia ogni sforzo possibile perché il Mediterraneo non sia più un mare di morte per i tanti rifugiati che cercano di navigarlo alla ricerca di un futuro per la loro vita, ma torni ad essere un mare di pace e di unità tra i popoli, attraversato da ponti di solidarietà e di collaborazione, un mare – per vocazione geografica e per tradizione culturale – ravvivato dalle onde dell’incontro e non minacciato dalle tempeste del conflitto”.
Esordisce così la “Carta di Leuca” (#cartadileuca.0): un evento internazionale rivolto ai giovani, organizzato dalla Fondazione “Parco Culturale Ecclesiale Terre del Capo di Leuca”, espressione della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, con il sostegno della Comunità di Sant’Egidio e di molte altre realtà associative e di volontariato.
L’evento, svoltosi dall’11 al 14 agosto, poggiava su un titolo emblematico – Mediterraneo, un mare di ponti – fatto apposta per parlare di pace, solidarietà, sviluppo sostenibile e pari opportunità all’incrocio fra Oriente e Occidente.
E la risposta di Papa Francesco non si è fatta attendere con un incoraggiamento “a considerare la presenza di tanti fratelli e sorelle migranti un’opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo tra culture e religioni, come anche un’occasione per testimoniare il Vangelo della carità”.
Questo il messaggio che il cardinale Pietro Parolin, segretario di stato vaticano, ha fatto pervenire a mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca. Nel suo messaggio Papa Francesco auspica inoltre che “la significativa manifestazione susciti un rinnovato impegno nel favorire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà, promuovendo così la pace e la fraternità tra i popoli”.
Dal manifesto programmatico della “Carta di Leuca” citiamo un altro estratto in perfetta sintonia con lo spirito della Lettera Enciclica Laudato si’: “Chiediamo che siano colmati i fossati della globalizzazione dell’indifferenza e costruiti i ponti della solidarietà globalizzata! Vogliamo – e ci impegniamo a comunicarlo e a diffonderlo per primi – che la solidarietà diventi un valore universalmente riconosciuto e garantito, tra le persone e tra le nazioni. Lanciamo da qui un appello alle nazioni perché collaborino nel progetto di strategie di valorizzazione delle ricchezze materiali e spirituali, nella logica della solidarietà, in cui chi è più ricco senta la responsabilità di sostenere concretamente chi è più povero”.
L’appello lanciato dai giovani riuniti a Santa Maria di Leuca ci riporta idealmente alla giornata del 6 maggio 2016, nella Sala Regia in Vaticano, quando fu conferito a Papa Francesco il “Premio Carlomagno” alla presenza dei principali leader europei. In quell’occasione il Santo Padre invocò con forza uno “slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente”.
“La creatività, l’ingegno, la capacità di rialzarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa”, disse Francesco. “Nel secolo scorso, essa ha testimoniato all’umanità che un nuovo inizio era possibile: dopo anni di tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi, è sorta, con la grazia di Dio, una novità senza precedenti nella storia. I Padri fondatori del progetto europeo gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio costruito da Stati che non si sono uniti per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune, rinunciando per sempre a fronteggiarsi. L’Europa, dopo tante divisioni, ritrovò finalmente sé stessa e iniziò a edificare la sua casa. Questa ‘famiglia di popoli’ in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai Padri…”.
Sui contenuti del discorso per il “Premio Carlomagno” è tornato di recente il sociologo polacco Zygmunt Bauman, che, in un’intervista pubblicata il 25 luglio sul Corriere della Sera, ha affermato: “Credo che si debba studiare, memorizzare e applicare l’analisi che Papa Francesco ha dedicato ai pericoli mortali della comparsa di nuovi muri in Europa. Muri innalzati, in modo paradossale e in malafede, con l’intenzione e la speranza di mettersi al riparo dal trambusto di un mondo pieno di rischi, trappole e minacce”.
“Il Pontefice nota con preoccupazione profonda – continua il sociologo – che se i padri fondatori dell’Europa, messaggeri di pace e profeti del futuro, ci hanno ispirato nel creare ponti, e abbattere muri, la famiglia di nazioni che hanno promosso sembra ultimamente sempre meno a proprio agio nella casa comune. Il desiderio nuovo, ed esaltante, di creare unità sembra svanire; noi, eredi di quel sogno, siamo tentati di soffermarci solo sui nostri interessi egoistici, e di creare barriere”.
Proprio così. Ancora una volta dobbiamo constatare che la storia non insegna nulla. Ancora una volta ci troviamo in presenza di ideologie estremistiche che tentano di giustificare il fallimento dei dogmi basati sul culto del profitto e dello scontro bellico, materializzando un “nemico” da combattere.
“Le radici dell’insicurezza sono molto profonde”, spiega Bauman. “Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza sociale più ampia”.
“La paura generata da questa situazione di insicurezza, in un mondo soggetto ai capricci di poteri economici deregolamentati e senza controlli politici, aumenta, si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite. E questa paura cerca un obiettivo su cui concentrarsi. Un obiettivo concreto, visibile e a portata di mano”.
Questo obiettivo viene irrazionalmente individuato nel povero, nel profugo, nel migrante. Senza considerare la pesante responsabilità che grava sul mondo occidentale per la drammatica sorte di quei popoli: “Molti di loro provengono da una situazione in cui erano fieri della propria posizione nella società, del loro lavoro, della loro educazione”, sottolinea Bauman. “Eppure ora sono rifugiati, hanno perso tutto. Al momento del loro arrivo entrano in contatto con la parte più precaria della nostra società, che vede in loro la realizzazione dei suoi incubi più profondi…”.
Mutatis mutandis siamo in presenza di una situazione analoga a quella che, nel secondo decennio del secolo scorso, travolse la Repubblica di Weimar consentendo l’ascesa al potere di Hitler e dando inizio ad una delle pagine più buie della storia dell’uomo: l’ideologia disumana e razzista che portò alla shoah.
La parola shoah è un termine ebraico che significa “tempesta devastante”. Per esorcizzare il ritorno di quella tempesta, Papa Francesco, nel corso del suo recente viaggio in Polonia per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha sostato a lungo, in silenziosa preghiera, nel campo di sterminio di Auschwitz.
 
Sempre per esorcizzare il ritorno di quella tempesta, i giovani riuniti in terra di Puglia, nella condivisione degli ideali umanitari promossi dalla “Carta di Leuca”, hanno detto SÌ alle “onde dell’incontro” e NO alle “tempeste del conflitto”.
 
 

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ZENIT Staff

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