Vogliamo aprire questo articolo raccontando ai nostri lettori una parabola tratta dalla tradizione, che si segnala per il suo simbolismo, non meno che per una sottile arguzia.
Un grande santo, giunto al termine della sua vita terrena, volle prendere visione dell’Inferno e del Paradiso per conoscere le condizioni delle anime assegnate a queste due regioni del Creato tra loro così diverse. Chiese quindi ai suoi angeli custodi di accompagnarlo in questo viaggio.
Giunto all’Inferno, il santo vide una moltitudine di anime sedute lungo il perimetro di un’enorme stanza. Sembravano arrabbiate, avvilite, confuse. Il loro aspetto smunto lasciava intuire un lungo digiuno.
Nel bel mezzo della stanza troneggiava un grande pentolone pieno di una zuppa fumante che, a giudicare dal profumo che emanava, sembrava essere molto appetitosa. Accanto ad ogni anima si poteva notare la presenza di un cucchiaio con un manico lunghissimo. Talmente lungo da poter arrivare facilmente fino al pentolone con la zuppa fumante. Ma allora perché – domandò il santo rivolgendosi agli angeli – quelle anime avevano un aspetto così denutrito e triste?
È semplice – risposero gli angeli –, il lungo manico consente sì di arrivare con facilità fino alla zuppa per estrarla dal pentolone, ma non consente poi di portare il cucchiaio fino alla bocca e di cibarsi della zuppa in esso contenuta. Così le anime restano a digiuno e sono affamate, angosciate, deluse…
Compatendo quelle anime, il santo le lasciò ai loro tormenti e s’incamminò verso il Paradiso. Ma appena giunto in Paradiso, quale non fu il suo stupore nel constatare che la scena era esattamente identica! Una moltitudine di anime lungo il perimetro di una grandissima stanza con il medesimo pentolone pieno di zuppa situato al centro ed i medesimi lunghissimi cucchiai posti accanto ad ogni anima… La differenza, però, era che qui le anime avevano un aspetto sereno, radioso, felice…
Il santo chiese allora agli angeli di spiegargli le ragioni di questa differenza, che a lui pareva incomprensibile. “Vedi – gli risposero gli angeli –, qui in Paradiso, le anime si amano talmente che hanno imparato ad imboccarsi l’un l’altra…”.
Questa parabola è simbolicamente efficace e, al tempo stesso, molto realistica. E potrebbe valere altrettanto bene qui in terra. L’ambiente in cui viviamo è ricco di risorse in grado di consentire a tutti una vita serena. A condizione d’essere disposti a condividerle. Ma se questa disponibilità non esiste e vince la corsa alla competizione e all’accaparramento, allora la vita diventa una sfida dura e infelice.
“Se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo – ci ricorda Papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’ –, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea”.
In un altro ordine di valori, possiamo affermare che la grandezza della poesia risiede non tanto (e non solo) nella capacità di disporre le parole in un contesto di rigore formale e di eleganza stilistica, quanto nella sua attitudine ad interpretare la sottile unione che collega le nostre emozioni alla percezione degli altri e alla bellezza dell’ambiente che ci circonda. Per far emergere alla soglia della coscienza quelle verità indistinte che avvertiamo dentro di noi e che restano spesso indifferenziate, celate, confuse. E che invece sono così importanti per dare significato all’esistenza.
In questo senso possiamo dire che la poesia – che lega il messaggio del poeta alla fruizione del lettore – è essa stessa una forma di unione, come dimostrano le quattro belle poesie che seguono, liberamente ispirate ai temi della condivisione e dell’accoglienza. Poesie che sono comprese nell’antologia del premio letterario G. Jovine – Il linguaggio dell’anima, edita da IF Press (www.if-press.com/it/), contenente le migliori opere in concorso.
LINEA DI FONDO
di Edoardo Ferri
Non linea immaginaria
ma limite reale
confine e regola
la linea è disegno d’ordine
controllo del peso
presa di posizione
in campo e fuori
se sono in linea con te
ti sto parlando forse
o andiamo solo d’accordo?
C’è sempre una linea di fondo
dove devi fermarti
per non perdere il respiro
quel limite estremo
che vorremmo prolungare
disegnare un campo profondo
le porte lontane anni luce
e il manto verde
dove la corsa non ha fine
viaggio fino al termine
della notte dei tempi.
*
IL RESPIRO DEL CREATO
di Augusto Finessi
Siamo solo delle voci
dentro questo buio di inchiostro nero.
Pensieri in movimento
di entità invisibili,
onde calde e vive
che si rifrangono sulla brina
del sottobosco.
Il gelo morde la pelle del viso
e ingravida i nostri respiri
in una scia vaporosa senza colori.
Non vedo la strada ma la sento
non cerco tesori ma li scorgo
nell’alto.
Un alfabeto luccicante
nitido, vivido e incombente
perfora la coltre della notte
tempestando di brillanti
una pagina del nostro tempo.
E lieve e rarefatto
un coro di meraviglia s’alza
verso la volta cristallina
dove la polvere aurea
avvolge la condensa
del respiro dell’universo.
(passeggiata notturna nel bosco)
*
E IL NAUFRAGAR M’È AMARO
di Irene Paolini
Oh naufraghi
tra onde alte che
si espandono
moriremo noi in questo
mare,
per eterno errare,
altra strana sorte
ci sorprende?
Percorremmo mille strade,
incontrammo mille facce
sporche di terra,
raggrumate di sangue,
bruciate dal sole.
I mille verbi umani
delle lingue incomprensibili
non significano nulla –
e come potrebbero?
Non ci sono parole
per dire l’orrore
non ci sono parole
per chiedere il pane.
Navigammo
per un tempo imprecisato
deserti d’acqua.
Acqua che salva,
che porta alla riva:
acqua che annega,
affamata di carne.
Pagammo caro la vita:
la pagammo
con la morte.
*
L’UOMO E LE STELLE
di Giuliano Vinci
Ammirate la maestà del Signore Iddio,
che splende nelle volute del vapore,
acqua che vola e vivifica il mondo.
Osservate la sua gloria nello splendor delle foglie,
nell’elevarsi dell’albero verde di vita.
Amate la potenza eterna e infinita di Dio,
il fiore che muore e infine risorge
perché Egli vuol così;
amate la forza della natura,
che si incarna per ogni dove
e la cui vista ci salva.
Ogni volta che il Sole si leva
l’uomo ha speranza di volare con lui,
di brillare libero e fulgido
nella gloria e nella luce dell’Uno.
Chi, dimentico di realtà, da illusioni trae vita,
egli muore ogni volta che naufraga il mondo
che ha fatto per sé.
Chi del mondo fa un aggregato informe di materia,
egli mai vive, non sapendo che Dio c’è
ed è vita, carne e forma.
Ogni volta che sorgono gli astri
l’uomo può vedere il vero Dio e capire;
lodate la misericordia inesauribile del Re dei Re,
che ammette l’uomo in cielo, anche se reo.
Perché egli si salvi deve sol guardare alle stelle:
ogni volta che sorgano egli potrà salire con loro,
per scelta.
Potrà sempre, finché viva e non tramonti per sempre.
***
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Qualora i componimenti poetici fossero troppo lunghi per l’integrale pubblicazione, ZENIT si riserva di pubblicarne un estratto.
Poesia della condivisione e dell’accoglienza
Edoardo Ferri, Augusto Finessi, Irene Paolini, Giuliano Vinci tra i finalisti del premio letterario “Il linguaggio dell’anima”