Il voto britannico del 23 giugno contro la permanenza nell’Unione Europea ha innescato una serie di reazioni, sia a livello continentale che interno, i cui sviluppi si dipaneranno nel corso dei prossimi anni. Come previsto alla vigilia da molti osservatori, il prevalere del Leave alle urne ha riaperto il capitolo delle indipendenze di Scozia ed Irlanda del Nord, scuotendo alle radici la stessa esistenza del Regno Unito.
È noto come il referendum sull’indipendenza di Edimburgo, svoltosi nel settembre 2014, non sia riuscito a prevalere: il 55% dei votanti optò per il “no”, facendo sembrare archiviata, almeno per una generazione, l’ipotesi di una separazione da Londra. Ironia della storia, un altro referendum può aver riaperto la partita, riaccendendo le speranze dei nazionalisti scozzesi.
Tra i dati che emergono dalla Brexit uno degli inoppugnabili è la profonda divisione tra le diverse Home Nations che costituiscono il Regno Unito: ad un’Inghilterra che ha votato per uscire dall’Unione – ad esclusione della “città-Stato” Londra, accompagnata in questa scelta dal Galles – si sono contrapposte Irlanda del Nord e Scozia, favorevoli invece a rimanere nell’UE. Con il 62% dei consensi al Remain il popolo scozzese ha inequivocabilmente testimoniato una volontà diametralmente opposta a quella inglese.
Il Paese a nord del Vallo di Adriano assiste quindi al paradossale risultato di dover uscire dall’Unione Europea nonostante la maggioranza assoluta dei suoi elettori si sia espressa nella direzione contraria. Tale esito del voto non poteva che incrementare le possibilità, prima praticamente nulle, di ritentare il referendum sull’indipendenza del 2014, con la speranza di ribaltarne il risultato.
A gestire questo quadro così complicato non sarà questa volta Alex Salmond, lo storico fondatore dello Scottish National Party nonché fautore del primo referendum, ma la pasionaria Nicola Sturgeon, succeduta nel 2014 a Salmond alla guida del partito ed alla carica di Primo Ministro scozzese. Già all’indomani del voto sulla Brexit la Sturgeon aveva ventilato l’ipotesi di una nuova consultazione referendaria, riproposta nelle settimane successive con altalenante convinzione, considerato lo svantaggio che i sondaggi danno al momento ad un secondo referendum.
Si teme infatti un altro salto nel buio dopo la Brexit e alcune delle argomentazioni pro-indipendenza sulla sostenibilità economica si scontrano contro un quadro profondamente diverso da quello del 2014 (basti pensare al crollo del prezzo del petrolio, ritenuto una risorsa chiave per le entrate del futuro Stato scozzese). Le preoccupazioni meramente economiche ed utilitaristiche non spaventano tuttavia la totalità della popolazione, una parte rilevante della quale è fermamente decisa a ritentare il voto per la libertà del proprio Paese.
È quanto avvenuto sabato mattina per le strade di Glasgow, dove un corteo in favore dell’indipendenza ha percorso le vie del centro città. L’iniziativa è stata organizzata dalla sigla All Under One Banner (Tutti sotto un’unica bandiera), avente come scopo la realizzazione di mobilitazioni di piazza fino al raggiungimento della piena sovranità del Paese. Come tradizione in queste occasioni il numero dei partecipanti varia a seconda della fonte. Secondo la polizia sarebbero state 2mila le persone presenti alla marcia di ieri mattina, molto diverse tra loro invece le cifre riportate dai giornali: per il Telegraph si va dai 2mila ai 3mila manifestanti mentre il Daily Mail parla di ben 7mila persone.
A prescindere dal numero preciso di aderenti alla marcia, è evidente come una parte consistente della popolazione scozzese non si sia rassegnata alla sconfitta, continuando il cammino che porta alla piena indipendenza. La strada è tortuosa ed incerta, solamente i prossimi anni ci diranno se Edimburgo resterà nel Regno Unito o prenderà la via dell’autodeterminazione.
Flag of Scotland - Pixabay
Scozia: in migliaia sfilano per l'indipendenza dal Regno Unito
Sabato mattina la manifestazione a Glasgow. Dopo la Brexit, cresce nel Paese il desiderio di staccarsi da Londra