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Vatileaks 2. Tiro alla fune tra gli avvocati: chi è il colpevole, Balda o Chaouqui?

Oggi le arringhe dei legali del monsignore e della pr che chiedono l’assoluzione dei propri assistiti. Letto in aula un sms di Chaouqui a Vallejo carico di insulti. Avv. Sgrò: “Francesca una donna che non piace ma che merita giustizia”

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“Ascoltami bene, verme….”. Iniziava così uno dei tanti messaggi Whtasapp inviati da Francesca Immacolata Chaouqui a mons. Lucio Vallejo Balda nel periodo di ‘rottura’ della loro amicizia/collaborazione, in cui minacciava di metterlo alla berlina “a mezzo stampa” se si fosse di nuovo azzardato a parlar male di lei durante una cena.

L’sms proseguiva con altri gravi insulti e parolacce che, per decoro, preferiamo non riportare qui ma che l’avvocato Bellardini, difensore del monsignore, non ha esitato a riferire in aula davanti ai giudici durante la 19° udienza del processo Vatileaks 2, durata circa 4 ore e mezzo.

Secondo la legale, che oggi ha svolto la sua arringa insieme all’avvocato Laura Sgrò, il volgare Whatsapp è utile a comprendere il clima di pressione e minacce che il prelato era costretto a subire da parte della pr che si era vista messa all’angolo dal Vaticano che le aveva ritirato pure la tessera d’accesso.

L’immagine che la Bellardini ha dipinto del suo assistito è infatti quella di una persona cordiale e socievole, sacerdote da 29 anni, che ha svolto sempre con molto impegno e coerenza il suo lavoro prima ad Astorga e poi a Roma, dove venne chiamato nel 2011 da Benedetto XVI. Un uomo, Vallejo Balda, che “nonostante le difficoltà, non si è mai tirato indietro”.

Poi però ci fu la doppia nomina come segretario della Prefettura per gli Affari Economici e contemporaneamente della neonata Cosea: un incarico arduo per una personalità “caratterizzata da un ipercontrollo”, come sottolineato dalle perizie psicologiche. Se a ciò si aggiungono minacce e pressioni da parte di Francesca Chaouqui, dapprima amica e protetta poi il suo peggior incubo, si capisce perché il monsignore abbia perso la testa tanto da arrivare a sfuriare pubblicamente davanti ai suoi dipendenti. “Si era generata una suggestione individuale”, ha detto Bellardini; anche ai due giornalisti co-imputati Nuzzi e Fittipaldi, Vallejo “non faceva altro che chiedere cosa pensassero di Chaoqui”.

Tutto questo, secondo l’avvocato, rende chiaro che non possa sussistere l’accusa di un gruppo criminale organizzato, come affermato ieri dai Promotori di giustizia nelle requisitorie. Balda, in sostanza, – a detta della legale – era una vittima, “recettore delle lamentele” della donna con la quale si rapportava in uno stato di “sudditanza”, sempre “ossessionato” dalla paura di essere minacciato o controllato da microspie. Il suo timore più grande era che si rivelassero particolari della sua vita per iniziativa della Chaouqui che, tra l’altro, era “l’unica esclusa dal lavoro in Vaticano – ha sottolineato Bellardini – e quindi l’unica ad avere interesse a passare notizie ai giornalisti…”. Notizie, peraltro, già pubblicate, integralmente o in parte, su altri media.

Impossibile, quindi, che in questa disparità di ruoli risultasse la volontà di concorrere tra i vari imputati. Peraltro la prova di tale tesi non è mai emersa negli otto mesi di processo, né nella fase istruttoria né nel dibattimento. Perciò la Bellardini ha concluso la sua arringa con la richiesta, in prima istanza, di assoluzione con formula piena da tutte le imputazioni, o, in subordine, di assoluzione dal reato di associazione a delinquere perché il fatto non sussiste e di assoluzione per insufficienza di prove dal reato di divulgazione di documenti riservati in concorso. Richiesta, in ulteriore subordine, l’assoluzione dal reato di associazione a delinquere perché il fatto non sussiste e del minimo della pena, con attenuanti, per il reato di divulgazione di documenti riservati in concorso.

Totalmente opposto lo scenario ritratto dall’avvocato Sgrò, durante la sua ‘colta’ arringa di quasi cinque ore in cui, citando Aristotele, accusava l’esistenza di due processi: uno svolto in Tribunale e un metaprocesso condotto sulla stampa, nei corridoi, in mezzo alle chiacchiere, a causa del quale la sua assistita “ha pagato un prezzo molto alto”. Denigrata, bistrattata, dipinta come una “persona pericolosissima”, una Mata Hari, la ‘papessa’ che aveva contatti con i Servizi segreti e la mafia cinese. La Sgrò l’ha definita la Keyser Söze di tutta la vicenda, facendo riferimento al personaggio del film del ’95 I soliti sospetti del misterioso boss criminale che nessuno aveva mai visto o conosciuto, e sul quale aleggiavano diverse leggende.

“Questo non è un processo politico, non siamo in un tribunale della morale, è un processo penale che si fonda sul diritto o sui fatti”, ha affermato l’avvocato. E proprio perché si fonda sui fatti e non sulle chiacchiere non si può condannare “una donna, moglie e madre che vuole giustizia e verità”. “È vero – ha detto l’avvocato – Francesca ha fatto tanti errori, è una persona che non piace, che parla quando dovrebbe star zitta, che ti guarda negli occhi. Ma solo perché è antipatica, arrogante, presuntuosa e indisciplinata non la si può condannare per questo. Non è un processo disciplinare…”.

Inoltre, l’immagine di Balda – da subito “reo confesso” con i Gendarmi come con i giudici – povero “sprovveduto” non è assolutamente credibile, ha aggiunto la legale. “L’unica cosa che ha voluto fare nel processo – ha detto – è cercare di alleggerire la sua posizione” accusando la pr di intrattenere rapporti con faccendieri come Luigi Bisignani interessati a controllare cose vaticane come lo Ior.

Tutte “panzanate”, ha assicurato la Sgrò: “Francesca è totalmente estranea alle accuse. L’unico ad avere avuto rapporti con i giornalisti è stato Balda e ne ha tenuto la Chaouqui accuratamente fuori. Incontrandoli, sempre da soli, lui aveva già la volontà di dare i documenti, non aveva bisogno di intermediari”. Lo dimostra il fatto che già il 15 aprile il prelato mandava una mail a Nuzzi con le famose 85 password per accedere alla documentazione e a Fittipaldi, al loro secondo incontro, consegnava una busta con i conti delle Cause dei Santi recuperata di fretta dal suo ufficio. Con Nuzzi, in particolare, c’era tutta una serie di sms e Whatsapp in cui si descriveva il clima di cordialità e simpatia nell’incontrarsi, a volte corredati anche da cuoricini. 

E poi: come si fa a definire Vallejo una persona corretta quando agli arresti domiciliari “si è infischiato delle regole”? In una occasione, durante la sua detenzione – ha ricordato il difensore – mentì pure a Giani dicendo di non aver mai toccato un computer laddove aveva chiesto ad uno dei penitenzieri l’uso di internet, oppure si mise d’accordo con tal Mauro Jacoboni, un astrologo suo amico, per farsi mandare una torta col telefonino all’interno. Telefonino che disse di aver buttato e che invece fu ritrovato tra i suoi indumenti intimi.

Alla luce di tali e tante morbosità, Laura Sgrò ha concluso l’arringa con la domanda di assoluzione per la sua assistita con la formula più ampia da tutti i capi di imputazione.

L’Udienza è terminata intorno alle 14.15. Dopo questo tiro alla fune tra le due legali, proseguiranno domani pomeriggio gli interventi degli altri avvocati difensori. Poi si potranno avere possibili repliche da parte del promotore e la Camera di consiglio, infine la sentenza che ormai sembra sempre più un miraggio. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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