Uffici giudiziari vaticani / ZENIT - SC, CC BY-NC-SA

Vatileaks 2: i cardinali Parolin e Abril e mons. Krajewski non testimonieranno al processo

Interrogati oggi mons. Abbondi, il vescovo ausiliare di Roma Lojudice e un informatico della Prefettura. La Chaouqui raccontava di far parte dei servizi segreti e di conoscere Renzi e Lorenzin

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Era prevedibile e oggi si è avuta la conferma: i cardinali Parolin e Abril y Castelló e mons. Krajewski non testimonieranno al processo Vatileaks 2 per fuga di documenti riservati. I tre erano stati richiesti come testimoni da Francesca Immacolata Chaouqui per dimostrare – come si disse a suo tempo – che l’imputata fosse una brava ragazza, che aveva compiuto numerose opere di carità e non il “mostro” dipinto dalla stampa.

Il Segretario di Stato, l’arciprete di Santa Maria Maggiore e l’Elemosiniere pontificio hanno dichiarato invece di volersi avvalere di quanto disposto dall’art. 248, secondo comma, del Codice di Procedura Penale. Il quale recita: “I pubblici ufficiali non possono essere obbligati a deporre su ciò che è stato loro confidato per ragioni d’ufficio, salvo i casi in cui la legge li obbliga espressamente a informarne la pubblica autorità…”.

Le comunicazioni di tali testi sono pervenute in Cancelleria, insieme ad un altro messaggio del cardinale Parolin in cui sentiva di dover specificare di non aver alcun elemento da riferire circa l’argomento su cui era stato citato come testimone, cioè il rapporto fra Vallejo e Chaouqui.

Dopo questo piccolo e, per certi versi, scontato colpo di scena, si è quindi data inizio alla tredicesima udienza durata 6 ore, alla presenza di solo tre imputati: Vallejo, Chaouqui e Maio (Fittipaldi era assente e anche Nuzzi perché impegnato alla prima comunione del figlio, come comunicato su Twitter).

Cinque ore sono state impiegate solo per l’interrogatorio a mons. Alfredo Abbondi, capo ufficio della Prefettura degli Affari economici, stretto collaboratore del monsignore spagnolo, pluricitato negli interrogatori dei precedenti testimoni quale quarto elemento di quella “commissione-ombra” (idea, a suo dire, fin troppo “enfatizzata”) che si riuniva in modo sospetto negli uffici della Prefettura per scopi non del tutto ‘leciti’. 

Un ruolo, questo, da cui Abbondi ha cercato di prendere le distanze per tutta l’audizione. “Mi sembra che si voglia insinuare un mio coinvolgimento”, ha detto. E il presidente Dalla Torre, con toni perentori, ha incalzato: “Lei faceva parte o no di questo gruppo segreto mafioso?”. Il prelato ha spiegato di aver partecipato sporadicamente alle riunioni solo perché coinvolto dal suo superiore (Vallejo Balda) per la sua bravura nello scrivere lettere in italiano, o meglio in “vaticanese”. Come, ad esempio, quelle che scrisse a Papa Francesco e al card. Parolin.

Oppure veniva chiamato da Balda per sfogarsi, trattenendolo anche “40-50 minuti”. Sfogarsi dell’attività della Cosea ormai vanificata o del rapporto con la Chaouqui che lo sfruttava e basta. Vallejo se ne rese conto in particolare quando la donna cercò di usare la posizione del prelato per permettere ad una troupe del regista Paolo Sorrentino di girare una scena del film The young Pope nei Musei Vaticani. Lui si rifiutò e venne trattato malissimo dalla pr; si rese conto quindi che il loro rapporto era mosso da doppi fini e decise di allontanarla.

Ad Abbondi, Balda raccontava tutto questo. Per il resto la sua figura era tenuta a margine, non solo dal gruppetto ma anche (cosa peggiore) dagli impiegati della Prefettura che lo avevano preso di mira dopo una lettera inviata a Benedetto XVI in cui denunciava il malfunzionamento dell’ufficio. Lettera pubblicata in Sua Santità, il penultimo libro di Gianluigi Nuzzi.

“Ho la maledizione di Nuzzi addosso” ha esclamato in aula Abbondi, “la mia carriera in Vaticano è finita per questo! Con l’arrivo dei nuovi capi le mie opinioni non venivano considerate. Non ero ascoltato neanche su come gestire le pratiche d’ufficio. La mia figura era delegittimata…”. E questo è nulla rispetto alle “minacce” che il monsignore dovette subire da alcuni “colleghi cattivi”. Come quello che un giorno, alla fine di una discussione, gli urlò: “Ti rompo una sedia sulla schiena”. Un clima soffocante, tanto che Abbondi più volte chiese al suo capo (il card. Versaldi) un trasferimento. Provvedimento che mai avvenne.

Il prelato continua, quindi, a lavorare tuttora in Prefettura, seppur questa sia stata svuotata da ogni attività operativa. “Il mio compito è aprire il sacco della posta e tirare fuori due copie de L’Osservatore Romano e una de Il Sole 24 ore”, ha detto rammaricato ai giudici, “la struttura non è chiusa, ma da mesi non facciamo niente”.

Ai tempi di Balda, invece, c’era un gran da fare. Come ad esempio quelle fotocopie di documenti richieste dal monsignore che andarono avanti per 15 giorni. Una documentazione “voluminosa” che faceva riferimento allo svincolo dei conti dei postulatori per le cause di beatificazione. “All’epoca – ha raccontato Abbondi – erano stati bloccati tutti i conti Ior dei postulatori. Vallejo mi chiese a me di fare le fotocopie di tutti i documenti a riguardo. Io poi passai il compito ad un usciere”

Una cosa “strana”, ha osservato Dalla Torre, “non si è mai insospettito?”. “No” ha risposto il monsignore, “se un mio superiore mi domandava una cosa del genere chi ero io per sindacare o oppormi?”. Inoltre, “non mi sembravano documenti riservati, ma semplici documenti di lavoro”.

Nell’audizione di Abbondi è poi ritornato il tema delle microspie negli uffici. Una ipotesi ventilata dalla Chaouqui che un giorno si presentò con un tecnico che doveva rilevarne la presenza. Emerse che ci fossero delle cimici negli studi di Vallejo, Abbondi e Roberto Morelli, direttore della sezione informatica. Su questo il monsignore ha ricordi confusi; rammenta benissimo invece quel giorno in cui la donna salì su una scala nello studio di Vallejo per aprire la scatola elettrica: “Fece il gesto di strappare una cosa e corse alla finestra per buttarla, ma nessuno vide cos’era. Questa cosa mi lasciò abbastanza scettico”.

Mai, però, fu avvertita la Gendarmeria vaticana: Balda aveva chiesto al suo sottoposto di evitare “per non alzare troppo il livello di attenzione”. Poi c’era di fondo quel timore nei confronti della lobbista che vantava la sua appartenenza ai servizi segreti italiani. “Ci lasciava intendere di far parte dei servizi segreti, varie volte faceva allusioni in proposito. Raccontava di avere funzioni e compiti che presidiavano la sicurezza dello Stato”, ha detto Abbondi, ricordando che un giorno la donna prese parte pure ad un incontro al Cafè Greco di Roma, a cui era presente anche l’allora capo dell’intelligence Giampiero Massolo.

Un cenno anche al party in terrazza durante le canonizzazioni dei due Papi, di cui il Pm Milano ha mostrato anche alcune fotografie. In realtà “era un incontro religioso, non un evento mondano. Abbiamo pure recitato il rosario prima della Messa” ha spiegato Abbondi. Tutto era nato dal fatto che la Prefettura della Casa Pontificia non aveva assicurato a Vallejo i posti per i membri e gli ospiti della Cosea; il monsignore aveva quindi pensato di allestire un palco sulla terrazza della Prefettura, accompagnato da un catering. Catering sobrio “con i bicchieri di plastica”, non quello descritto da Dagospia con champagne e caviale. All’evento partecipò più gente del previsto, a causa anche di alcuni “imbucati” come le 15 suore nigeriane ospiti del card. Arinze. 

Prima di Abbondi, la Corte aveva interrogato mons. Paolo Lojudice, vescovo ausiliare di Roma, anch’egli richiesto dalla difesa della Chaouqui. Il presule ha spiegato di aver conosciuto la donna anni prima tramite amicizie comuni (Lucia Ercoli) “come persona capace, con molti rapporti. in grado di favorire progetti per i poveri”. La frequentazione tra i due era data proprio dalla organizzazione di queste iniziative benefiche; nessuna, però, si è mai realizzata. Neanche la serata a Firenze, in occasione del Convegno Ecclesiale nazionale, al quale doveva partecipare anche Matteo Renzi. Con il premier e con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin la Chaouqui diceva di essere in buoni rapporti. “All’inizio – ha detto Lojudice – pensavo che sparasse in alto, poi ho capito che i rapporti di potere che vantava erano reali”. 

Interrogato oggi anche Roberto Minotti, già responsabile dell’informatica nella Prefettura degli Affari Economici all’epoca dei fatti. Le prossime udienze sono state fissate in calendario per lunedì 16 maggio alle ore 15.30 e martedì 17 alle ore 10.30. È prevista la continuazione e la conclusione dell’audizione dei testimoni ammessi.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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