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A Lampedusa il "Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo"

La Mostra, inaugurata il 3 giugno dal presidente Mattarella, si chiuderà il 3 ottobre, anniversario di un tragico sbarco sull’isola in cui morirono oltre 360 migranti

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“I rifugiati sono persone come tutti”, vanno accolti da parte nostra affinché diventiamo “artigiani di pace”. Così stamattina Papa Francesco, al termine dell’Angelus, ha ricordato la Giornata Mondiale del Rifugiato promossa dall’Onu.
Il tema dei rifugiati fa correre la mente degli italiani all’isola di Lampedusa. È qui che il 3 giugno è stato inaugurato da Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, il “Museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo”.
Ci sono voluti oltre dieci anni di lavoro. “Il museo simula una nave e il piano superiore sembra un ponte”, ha spiegato l’architetto Giuseppe Alongi, curatore del progetto museografico.
Una nave, il mare intorno, portatore di vita e di morte. La storia di Adal, rifugiato eritreo, dà inizio a questo viaggio per arrivare alla fiducia e al dialogo.
Al primo piano la storia, le origini, che fondano una fiducia per aprirsi al dialogo, con il Museo archeologico permanente delle Pelagie.
Lampedusa, un’isola sterile per i venti e per il disboscamento, diventa fertile con l’accoglienza di chi viene dal mare. E chissà se questa fertilità contagerà anche l’Europa della crisi demografica.
Al primo piano del museo c’è lo spazio dedicato alle mostre non permanenti; responsabilità e dialogo sono il filo conduttore delle opere e delle immagini scelte per questa prima esposizione, “transito verso la realizzazione del museo della fiducia e del dialogo”, che servono per “orientarsi” nel “Mare delle radici comuni”.
La mostra terminerà il 3 ottobre prossimo, data del tragico sbarco del 2013 a Lampedusa, in cui morirono 366 migranti e almeno altri 20 furono i dispersi. Dallo scorso 16 marzo questa data è diventata Giornata della memoria e dell’accoglienza.
I resti dei profughi, quelli che non c’è l’hanno fatta, sono la Memoria: un passaporto siriano, uno pachistano, alcune foto, un cellulare, dei gioielli, un profumo: “Frammenti intimi di persone che migrano… di donne e uomini che ricercano la verità, la giustizia, la pace”, scrive il Comitato 3 Ottobre.
Poi si entra nella altre sale: Responsabilità, dove si viene accolti dall’opera Amore dormiente di Caravaggio, che somiglia al piccolo Aylan, il bimbo curdo-siriano morto su una spiaggia turca; Attraversamenti, per “suggerire il valore dell’ingegno, della conoscenza e del sapere”; L’Altrove, L’orizzonte e infine Il racconto della migrazione che commuove.
Commuove chi ha visto l’altra Lampedusa, quella di don Mimmo, il parroco, del dottor Pietro Bartolo, il direttore dell’Asl, l’uomo di Fuocoammare, di Nino Taranto dell’Archivio Storico, delle forze dell’ordine, delle istituzioni, di tutti gli abitanti, dei disabili psichici del Centro Disabili, delle tante contraddizioni.
Ma anche quella del centro di accoglienza, senza spazi aggregativi, da dove i migranti non possono uscire e dove i lampedusani non possono entrare; quella dove si soccorrono anche 12 mila migranti, ma i lampedusani lo sanno solo dai giornali o tv.
Questo imponente e drammatico fenomeno migratorio viene anche per noi, europei sazi, seduti e talmente egoisti da non sapere accogliere neppure un bambino che nasce. Anche noi siamo accolti da questi uomini, donne, bambini che arrivano dal mare, dal dolore, dalla croce. Loro spezzano le nostre incrostazioni di egoismo, ci aprono all’accoglienza. Per loro andiamo oltre i limiti e torniamo ad essere uomini e donne.

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Elisabetta Pittino

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