La Madonna in Michelangelo: una rilettura “teologica”

Il saggio di Stefano De Fiores torna d’attualità, alla luce delle recenti affermazioni di papa Francesco sul ruolo delle donne nella Chiesa

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Le recenti parole di papa Francesco, in relazione alla necessità di una maggiore presenza femminile nella Chiesa, hanno fatto esultare di gioia molte donne. A guardar bene però, la presenza femminile, anche se nei secoli colpevolmente trascurata, nella Chiesa (che è Madre) è sempre esistita.
A tal proposito, si segnala un testo interessante scritto da padre Stefano De Fiores, mariologo di fama internazionale, tornato alla casa del Padre nell’aprile del 2012, che ne evidenzia la realtà.
Il libro, intitolato La Madonna in Michelangelo, edito dalla LEV nel maggio – mese mariano – del 2010. Il testo, tornato di attualità dopo le recenti parole di Francesco, ci dà l’occasione per scoprirne e delinearne i punti principali. Innanzitutto, è bene precisarlo, il testo è scritto con dovizia di particolari, come De Fiores ha abituato i lettori.
Importanti novità contraddistinguono il lavoro del mariologo calabrese: innanzitutto la prospettiva femminista che Michelangelo fa emergere nella Cappella Sistina, evidenziando la co-centralità del ruolo della donna. Quanto ignorato, o non al meglio valorizzato dai precedenti scritti (comprese indagini relative a lunette, vele e presenze femminili degli antenati, da considerare non riempitivi ma parte integrante dell’intera rappresentazione), trova una nuova luce nel testo del Monfortano.
La seconda novità degna di nota è la nuova interpretazione del cambiamento operato dall’artista nella Madonna del Giudizio Universale. De Fiores premette che non si può mai capire l’artista, se non lo si inserisce nel quadro storico di riferimento, per cui, nel primo capitolo, è anticipata l’immagine che nel Quattro-Cinquecento si ha della Vergine.
L’autore, inoltre, fa emergere la potente correlazione tra la figura di Maria e la dimensione strutturale dell’umanesimo cristiano. Il periodo, caratterizzato dal passaggio da una visione teocentrica ad una antropocentrica, ha comportato un radicale cambiamento della figura della Madre di Gesù.
“L’arte rinascimentale – scrive De Fiores – conosce traguardi di un lirismo nuovo e tutto umano che il Medioevo non aveva conosciuto. Espressione inarrivabile dell’inculturazione rinascimentale sono le Madonne del Quattrocento e Cinquecento italiano, dove le bellezze terrene sono poste al servizio della bellezza sovraumana della Madre di Dio”. In questo contesto storico opera il Buonarroti, il quale propone un principio mariologico cardine, fisso ed imprescindibile: infatti, l’inseparabilità di Maria dal Figlio trova in Michelangelo una puntuale rappresentazione.
Un capitolo a parte merita la raffigurazione della Pietà, in particolare quella Vaticana, cui l’autore, riprendendo le parole del Vasari e di Paolucci è concorde nell’affermare che “si tratta di un picco ineguagliato e probabilmente ineguagliabile di bellezza spirituale, di vero idealizzato. In questo senso possiamo dire che la Pietà è abitata dalla grazia”.
Rilevante è anche il capitolo sul lavoro che Michelangelo inizia salendo nei ponteggi vaticani nell’estate 1536, lavorando instancabilmente fino alla festa di Ognissanti del 1541 (quando l’affresco della Sistina venne scoperto parzialmente per papa Paolo III, che vi celebrò i vespri, per essere successivamente e completamente scoperto, per tutti, il giorno di Natale dello stesso anno).
Con accurata e documentata linearità, l’autore precisa la diversità dei disegni preparatori iniziati con papa Clemente VII e continuamente cambiati e riadattati. La posizione della Madonna accanto al Veniente, nella stessa luce, fa emergere l’opera di Maria, che, sempre accanto al Figlio, ha un posto centrale nella rappresentazione di un affresco nel quale il tempo e lo spazio sono categorie non rappresentate.
De Fiores ci ricorda, attraverso le opere di Michelangelo, il ruolo indispensabile svolto dalle donne e dalla Donna. In particolare fa emergere che le opere michelangiolesche iniziano e finiscono con la raffigurazione di Maria inscindibilmente legata al Figlio (la prima opera scultorea autentica è datata intorno 1490 – La Madonna della Scala – mentre l’ultima opera cui vi lavorò è la celebre Pietà Rondanini).
Quella di De Fiores – mariologo tra i più celebri nell’orizzonte postconciliare – non è un’invasione di campo nel mondo dell’arte, ma un indispensabile contributo per i futuri lavori di teologi, studiosi e critici d’arte, che sicuramente hanno trovato, e troveranno nel presente lavoro, un punto di partenza fondamentale per un ulteriore cammino teologico-culturale.

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Domenico De Angelis

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