Bo Guerreschi - Bon't Worry Onlus

Violenza sulle donne: nasce task force per proteggere le vittime

Nasce “Bon’t worry Onlus”, associazione creata dall’economista Bo Guerreschi, a sua volta vittima di abusi, con la partecipazione di avvocati, psicologi e Polizia di Stato

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La violenza sulle donne sembra essere un fenomeno inarrestabile. I numeri parlano chiaro: dall’inizio dell’anno le vittime di femminicidio sono state già 32, ben 128 quelle del 2015. I dati Istat più recenti ci dicono che sono quasi 7 milioni le donne che, nel corso della loro vita, hanno subito violenza fisica (20%) o sessuale (21%) o forme più gravi di abusi come stupri e tentativi di stupro (5,4%); l’abuso psicologico, però, tocca indistintamente tutte le donne. 
Proteggere le donne vittime di violenza, aiutare concretamente donne e bambini che per motivi economici non possono o non riescono a difendersi, creare sensibilità e consapevolezza di un fenomeno che solo in minima parte conosciamo attraverso le pagine dei giornali: per questi motivi nasce “Bon’t worry Onlus”, associazione creata per volere di Bo Guerreschi, economista internazionale di successo, a sua volta vittima di soprusi, abusi psicologici e fisici.
A pochi mesi dalla sua nascita, “Bon’t worry Onlus si è già occupata di 30 casi di donne che hanno deciso di uscire allo scoperto e parlare. “Le donne con cui ho condiviso la mia esperienza, quelle che sono arrivate alla nostra neonata associazione – dichiara la presidente Guerresch – si vergognano di quello che sta capitando loro, si sentono talmente responsabili, colpevoli al punto da chiedere sempre scusa. L’associazione offre loro un luogo sicuro, in attesa di riprendere le fila della propria vita; mette a disposizione avvocati selezionati, medici, psichiatri e psicologi e fornisce un supporto in termini di sicurezza”.
Molto spesso le vittime dipendono economicamente dagli autori della violenza ed è ancora diffusa la convinzione che le risposte delle Istituzioni non siano adeguate. Per questi motivi, oltre che per la paura e la disperazione, la maggior parte delle manifestazioni di violenza non vengono denunciate, in alcuni casi non vengono neanche percepite come un crimine, fin troppi casi vengono archiviati. 
“Ma, indipendentemente dai dati ufficiali, esiste tutto un sommerso che si può definire un vero e proprio bollettino di guerra – commenta ancora Guerreschi – Basti pensare che solo nell’ultima settimana si sono verificati ben 8 casi di cui 5 stupri e 3 abusi familiari. Spesso la magistratura non prende in esame quei casi che non sono eclatanti, con cadaveri o sangue! Ad esempio, nel mio caso, come in altri sei presi in carico dall’associazione, sono spariti o fatti sparire i fascicoli di anni. E in questo la stampa ha un ruolo fondamentale anche nel dare ai casi una giusta valutazione”.
A dare un quadro della violenza contro le donne nel nostro Paese sono le Forze dell’Ordine che, da sempre, collaborano attivamente con l’Associazione.  “Nella maggior parte dei casi le molestie (e/o abusi) vengono perpetrate da persone conosciute, prevalentemente all’interno del nucleo familiare – sostiene Flavio Tuzi, presidente nazionale del sindacato Anip-Italia Sicura della Polizia di Stato – mentre gli stupri sono quasi tutti attribuibili a sconosciuti, più raramente al partner attuale o precedente. Non ci piace utilizzare le statistiche, per noi le violenze fisiche o sessuali o gli omicidi sono un dato permanente e, pertanto, l’obiettivo finale è debellare questo fenomeno o a ridurlo ad occasionalità”.
“Nel frattempo – prosegue Tuzi – dobbiamo unire tutte le sinergie disponibili anche per diffondere la cultura della legalità e della sicurezza, per garantire a tutti una convivenza civile e sicura. Lo stesso impegno che mettiamo quotidianamente per combattere la violenza contro le donne deve essere profuso per difendere i bambini che assistono alla violenza sulle loro mamme o che la subiscono nello stesso contesto familiare, non dimenticando mai l’altro aspetto che li riguarda, la pedofilia, che va combattuta senza tregua”.
Le donne che hanno subito violenza manifestano diversi problemi, con ripercussioni negative ben visibili anche a livello mentale e sociale. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità – afferma Gaetano Giordano, psicoterapeuta dell’associazione – ci dice che le donne violentate hanno il doppio delle possibilità di soffrire di depressione o di fare abuso di alcolici. Un’altra sfera gravemente danneggiata è quella della gravidanza: le possibilità di vivere il dramma dell’aborto raddoppia e le probabilità di partorire neonati sottopeso sale del 16”.
A tutto questo vanno aggiunti anche altri aspetti: in tutti i reati di violenza bisogna considerare la difficoltà degli inquirenti a raccogliere prove poiché raramente questi reati hanno testimoni diretti e spesso si scontrano la parola della vittima contro quella dell’accusato. Bisogna inoltre considerare che ci vogliono mesi per portare avanti la denuncia, altri mesi (anche fino a 2 anni) per la fase istruttoria e se si svolge un ordinario processo, almeno uno/due (o più) anni per avere la sentenza di primo grado. Fino a quando la sentenza non è definitiva, l’imputato rimane in libertà, anche se negli ultimi mesi la magistratura ha messo in atto misure restrittive di vario tipo. In Italia, infatti, non esiste una legge organica di protezione delle vittime di reato. Sebbene esista la Convenzione di Istanbul del 2014, ratificata da ben 13 Nazioni dell’Unione Europea, tra cui anche l’Italia, nel nostro Paese non viene applicata.
“È importante che le vittime di reati di violenza conoscano bene gli aspetti giudiziali – dichiara l’avvocato Licia D’Amico, difensore Onlus nelle costituzioni di parte civile – per poter decidere con consapevolezza la via migliore da percorrere, programmando tempi e tipo di azione. In questo modo sarà possibile mettere in atto un “piano di sicurezza”, fondamentale per la propria incolumità. Denuncia, querela e ogni altra forma pubblica di reazione alla violenza sono strumenti preziosi e fondamentali, ma è importante anche il ruolo delle Istituzioni che devono aiutare e intervenire, rispettando sempre la situazione reale delle vittime. L’ultimo rapporto Istat sulle violenze di genere indica che solo il 2% delle vittime sa di potersi rivolgere ad Associazioni che, come la Bon’t worry, quotidianamente si impegnano per la sicurezza e la libertà di autodeterminazione delle donne. Questo è oggi il punto di partenza per una indispensabile inversione di tendenza”.
Da sottolineare l’impegno delle Istituzioni proprio in questa direzione. È di pochi giorni fa la notizia di una proposta di legge, presentata alla Camera dei Deputati, con la quale diventerebbe automatica l’indegnità a succedere. “L’obiettivo di questa proposta – afferma l’avvocato Cristian Malaguti, esperto legale nel campo delle violenze di genere – è quello di offrire un maggior sostegno ai figli o agli altri familiari della vittima che, oltre al dolore e allo shock, si trovano a dover affrontare lunghe e costose cause penali e civili prima di veder riconosciuti i propri diritti. Si vuole cambiare la legge attuale e far sì che diventi automatica, in caso di sentenza definitiva di condanna per omicidio del coniuge, l’indegnità a succedere, per evitare che il carnefice possa, un giorno, diventare erede della sua stessa vittima”.
Per questi motivi è indispensabile gestire i processi per violenza con un sostegno interdisciplinare (legale, psicologico) e una rete di professionisti sensibili e competenti, capaci di collaborazione in completa sinergia con le vittime.
Per offrire aiuto alle donne che si sentono minacciate da una qualsiasi forma di violenza, è stato anche attivato, lo scorso 8 marzo, il numero verde 800 10 1414.
 

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ZENIT Staff

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