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La doppia sfida per la terra e per i profughi

Il dovere di agire in modo sostenibile e solidale. L’analisi dell’arcivescovo di Chieti-Vasto

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Il risultato del recente referendum sulle trivellazioni, in cui non è stato raggiunto il quorum dei votanti necessario a renderlo valido, non deve far pensare che possa ritenersi accantonata o ridimensionata nel nostro Paese la sfida ecologica, di cui in forma sia pur molto parziale il quesito posto si occupava.
A parte il fatto che fra coloro che si sono recati alle urne ha prevalso nettamente il sì (e si tratta di oltre tredici milioni di elettori!), l’urgenza di tutelare una delle più grandi risorse dell’Italia, e cioè il suo ambiente naturale dalla straordinaria bellezza paesistica, deve essere considerata prioritaria per chiunque abbia a cuore il bene della collettività.
Come dimostra l’accordo sul clima raggiunto a Parigi e sottoscritto in questi giorni alle Nazioni Unite da ben 175 Paesi, la crisi ecologica cui stiamo assistendo ci riguarda veramente tutti: il divario tra tempi biologici e tempi storici, con gli scompensi prodotti fra i velocissimi tempi della tecnologia e i lentissimi tempi della natura, va continuamente monitorato, affinché le conseguenze del possibile squilibrio fra di essi non si ripercuotano drammaticamente su processi come il cambiamento climatico, l’inquinamento, le carestie e le crisi umanitarie. In generale, c’è ampio consenso sul fatto che il sistema della produzione a livello mondiale si sta rivelando strutturalmente insostenibile, con punte drammatiche in alcune aree del pianeta, come ad esempio l’immensa “terra di mezzo”, la Cina.
Certamente la sostenibilità è un processo complesso, per affrontare il quale non bastano teorie lineari e scienze isolate: la modernità ha attivato sinergie inedite nel passato, che impediscono soluzioni che non si sforzino di considerare le tante variabili del quadro complessivo.
Si profila l’urgenza di tessere una rete tra i vari campi del sapere, cercando ambiti comuni tra le varie sfere disciplinari, che consentano di studiare le leggi di quanto accade o potrebbe accadere per usare le conoscenze così acquisite in ordine ad attivare nuove strategie di prevenzione e di tutela. In primo piano, la sfida da affrontare in questo campo è quella educativa: ciò che occorre è aprire gli occhi di tutti ai rischi dell’aggravarsi della crisi ecologica, rendendo consapevole ogni cittadino della casa comune, la nostra madre terra, della necessità di assumere stili di vita e comportamenti concreti ispirati alla sobrietà e alla responsabilità ambientale.
L’Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’ (24 maggio 2015) costituisce in tal senso un manifesto cui tutti dovrebbero ispirarsi, rivolta com’è a ogni abitante del pianeta: la sfida ambientale vi è presentata come inseparabile da quella educativa, perché un’ecologia integrale è fondata sulle possibilità dell’essere personale di crescere nella consapevolezza delle proprie responsabilità e di agire di conseguenza in maniera sostenibile e solidale.
Occorre creare una “cittadinanza ecologica”, in cui reciprocamente ci si aiuti ad “aver cura del creato con piccole azioni quotidiane… fino a dar forma ad uno stile di vita” (n. 211), e al tempo stesso sviluppare una “spiritualità ecologica”, di cui Francesco d’Assisi è esempio eloquente: “Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esisten­za virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperien­za cristiana” (n. 217). Veramente si può sperimentare in questo campo come sia vero che “meno è di più… La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose” (n. 222).
L’altro grande tema che interpella tutti noi è quello, su cui parimenti insiste Papa Francesco, riguardante il modo di porci dinanzi ai fenomeni migratori e all’afflusso dei rifugiati dalle varie situazioni drammatiche che devastano la terra: se la sfida ecologica impegna il rapporto dell’uomo col creato, quella dell’afflusso dei migranti e dei rifugiati tocca direttamente la relazione dell’uomo all’uomo, interpellando la capacità di accoglienza dell’altro come cartina da tornasole della qualità stessa del nostro essere umani.
La visita del Papa a Lesbo lo scorso 16 aprile è stata in tal senso l’occasione per lanciare un appello al mondo intero e in particolare all’Europa. Parlando ai migranti e ai rifugiati, provenienti in gran parte dalla Siria lacerata dal conflitto, Francesco ha affermato: “Voglio dirvi che non siete soli. In questi mesi e settimane, avete patito molte sofferenze nella vostra ricerca di una vita migliore.
Molti di voi si sono sentiti costretti a fuggire da situazioni di conflitto e di persecuzione, soprattutto per i vostri figli, per i vostri piccoli. Avete fatto grandi sacrifici per le vostre famiglie. Conoscete il dolore di aver lasciato dietro di voi tutto ciò che vi era caro e – quel che è forse più difficile – senza sapere che cosa il futuro avrebbe portato con sé”. A parlare è un uomo che comprende il dolore, che s’immedesima nella condizione dello sradicamento e in quella forse ancor più gravosa della sfida costituita dalle incognite dell’immediato futuro.
È però anche la voce del Pastore che risveglia le coscienze assopite: “Sono venuto qui con i miei fratelli, il patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Ieronymos, … per stare con voi e richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.
Il fondamento di quest’appello accorato è l’appartenere tutti alla stessa famiglia umana: “Dio ha creato il genere umano perché formi una sola famiglia; quando qualche nostro fratello o sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità. Ma sappiamo anche che queste crisi possono far emergere il meglio di noi”.
Il richiamo è alla grande casa europea, che sta mostrando da una parte segnali di straordinaria generosità e accoglienza, dall’altra chiusure tristi e grette, tendenti a difendersi dall’altro come fosse un pericolo o un danno. Prendendo esempio dal popolo greco, che ha generosamente risposto ai bisogni altrui “pur in mezzo alle sue stesse difficoltà”, Francesco ha indicato all’Europa l’unica via all’altezza della sua dignità e della sua storia rivolgendosi a rifugiati e migranti con queste parole: “Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore: uno sguardo misericordioso, la premura di ascoltarci e comprenderci, una parola di incoraggiamento, una preghiera… Possano tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle in questo continente, come il Buon Samaritano, venirvi in aiuto in quello spirito di fraternità, solidarietà e rispetto per la dignità umana, che ha contraddistinto la sua lunga storia”. Parole chiare, dirette, di fronte alle quali non si può essere sordi, pena il fallimento della propria umanità: riusciranno a capirlo i grandi dell’Europa unita?
[Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore di domenica 24 Aprile 2016]
 

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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