L’amore di Dio per l’uomo cambia ogni prospettiva ed uccide la nostra indifferenza. Ne ha parlato ieri pomeriggio, padre Ermes Ronchi, durante la nona meditazione in occasione degli esercizi spirituali di Quaresima per la Curia Romana, in corso nella Casa del Divin Maestro ad Ariccia.
Il Servo di Maria ha riflettuto sull’apparizione post-risurrezionale di Gesù sul lago di Tiberiade, avvenuta in una notte “amara” e “senza stelle”, che è l’emblema della domanda di amore di Dio all’uomo, preludio alla santità, la quale non va intesa nella “assenza di peccati” ma in una “passione rinnovata” nei confronti di Cristo e del Vangelo.
In altre parole, ha sottolineato il predicatore, la santità non è una “passione spenta” ma una “passione convertita” e “quando l’amore c’è, non ti puoi sbagliare, è evidente, solare, indiscutibile”.
Nell’uomo, Dio non cerca la “perfezione”, né “colma la povertà”, ha aggiunto padre Ronchi. “Non siamo al mondo per essere immacolati, ma per essere incamminati”, ha aggiunto.
E Gesù, “mendicante d’amore”, conosce la “povertà” di ognuno di noi e chiede “la verità di un po’ di amicizia”. La fede, ha proseguito Ronchi, si sviluppa in tre passaggi: “ho bisogno, mi fido, mi affido”. Fidarsi, in particolare, significa accettare che “più amore è bene, meno amore è male”, significa, come diceva sorella Maria dell’eremo di Campello, “abbandonare la regola ogni volta che la regola si oppone all’amore”.
Chi crede, ha detto ancora il Servo di Maria, è in primo luogo un “credente nell’amore”, ovvero un “rianimatore di legami” che “aiuta gli uomini a ritrovare fiducia nell’amore”.
Credere è anche “avere una storia con Dio” e “camminare nell’amore con una persona”; la salvezza è invece la consapevolezza che è Dio per primo ad “amare”. L’Occidente, oggi, vive una crisi di fede, in primo luogo perché “non si crede nell’amore”, laddove l’amore è essenzialmente nel “dare”.
Secondo padre Ronchi, “il contrario dell’amore non è l’odio ma l’indifferenza che è linfa vitale che alimenta ogni male, la linfa segreta del peccato”, per la quale l’altro “non esiste, non conta, non vale, non è niente”.
Bisogna dunque tornare ad amare Dio “con tutto noi stessi, corpo e anima”: non si può però amarlo da “sottomesso” o da “schiavo” ma da “innamorati”.
L’ultima meditazione degli esercizi spirituali, tenuta stamattina, è stata invece dedicata al Vangelo dell’Annunciazione: un evento “colossale”, avvenuto in un “giorno qualunque”, in un “luogo qualunque”, protagonista una “giovane donna qualunque”.
La costante di Dio, infatti, è nella sua semplicità, nel suo manifestarsi “nel quotidiano, senza testimoni, lontano dalle luci e le emozioni del tempio”, ovvero “nella normalità di una casa”, laddove “Dio ti sfiora e ti tocca”.
Santa Teresa d’Avila parlava addirittura di un Dio che “va fra le pentole, in cucina”. Se non riusciamo a percepire Dio come “domestico”, significa che non abbiamo ancora incontrato Dio nella nostra vita e siamo ancora fermi alla “rappresentazione razionale del Dio della religione”, che si rivela “separato dal Dio della vita”.
Pertanto Maria, nella sua casa di Nazareth, ci lancia una “sfida enorme: passare da una spiritualità che si fonda sulla logica dello straordinario ad una mistica del quotidiano”.
Anche nelle “gravità”, nelle “pesantezze” o nelle “responsabilità”, Maria ci ricorda che “la fede o è gioiosa fiducia o non è”; la Madre di Dio entra nella nostra vita come una “benedizione di speranza, consolante, che scende sul nostro male di vivere, sulle solitudini patite, sulle tenerezze negate, sulla violenza che ci insidia ma che non vincerà, perché la bellezza è più forte del drago della violenza, assicura l’Apocalisse”.
Il Vangelo di Matteo, invece, riporta l’annunciazione dell’Angelo a San Giuseppe, mostrando come Dio operi “nelle nostre relazioni”, parlando “dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci”; in questo, “Dio non ruba spazio alla famiglia, non invade, non ferisce, non sottrae, cerca un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, la somma di molti sogni e moltissimo lavoro paziente”.
La fede di Maria, pur accettando subito il Mistero, non è esente da “perplessità” o “domande”: tutto ciò dimostra che nella nostra “piccolezza”, abbiamo “ancora più bisogno di Dio”.
© PHOTO.VA - OSSERVATORE ROMANO
“L’Occidente è in crisi di fede, perché non crede nell’amore”
Nell’ultima meditazione degli esercizi spirituali della Curia Romana, padre Ermes Ronchi invita ad accogliere Dio, come fa Maria, nella quotidianità, tra le pentole in cucina…