I Papi lo ammiravano ma il Sant’Uffizio emise decreti di condanna. Padre Pio ha subito per tutta la sua vita l’incomprensione e l’ostilità di molti. Eppure tutti oggi riconoscono che fu un grande uomo ed un santo frate.
Per cercare di capire e spiegare come e perché il frate di Pietrelcina ha suscitato reazioni così controverse, Renzo Allegri ha pubblicato il libro La passione di Padre Pio, edito da Mondadori.
Per sviscerare il significato di quanto è accaduto a Padre Pio, il noto scrittore ha indagato su migliaia di documenti conservati nell’Archivio Segreto del Vaticano e in quello del Sant’Uffizio.
Allegri ha lavorato anche sui documenti degli archivi dell’Ordine dei Frati Cappuccini, dei Cappuccini della Provincia di Foggia e di archivi privati di laici, che ebbero ruoli estremamente importanti in questa vicenda. Molti di questi sono inediti.
Renzo Allegri ha già scritto altri nove libri su San Pio da Pietrelcina, tutti pubblicati da Mondadori, tutti finiti nelle collane dei best seller, tutti tradotti all’estero.
Intervistato da ZENIT, lo scrittore ha affermato che questo ultimo libro “è il più importante perché mette il dito sulla piaga del Male, cioè Satana che, per rovinare le opere di Dio, mette in atto trappole diaboliche che riescono a ingannare perfino rappresentanti della Chiesa. Tema estremamente importante e anche attuale”.
Cosa c’era di così strano in Padre Pio al punto da sollevare i dubbi del Sant’Uffizio?
Le stimmate. Il Sant’Uffizio cominciò a interessarsi di Padre Pio nel 1919, dopo che si era diffusa la notizia che sul corpo di quel giovane frate cappuccino erano comparse le stimmate, cioè le piaghe della Passione e Morte di Gesù. L’evento, sconvolgente e sconcertante, si era verificato il 23 settembre 1918, nella solitudine di un conventino sul Gargano. Era stato tenuto segreto perché gli stessi confratelli di Padre Pio non riuscivano a dargli un significato. Solo nel maggio 1919, la notizia cominciò a circolare, finì sui giornali e la gente accorse in massa. Fu il quotidiano di Napoli, Il Mattino, che allora era molto prestigioso, a intuirne l’importanza esplosiva. Il direttore del giornale mandò a San Giovanni Rotondo uno dei suoi più noti inviati, il quale, a metà giugno, realizzò un reportage dettagliato su ciò che avveniva intorno a Padre Pio, e Il Mattino lo pubblicò su due pagine, con un titolo eclatante: Padre Pio, il “santo” di San Giovanni Rotondo opera un miracolo sulla persona del cancelliere del paese presente un inviato speciale del “Mattino”. Scoppiò il caso. Se ne interessarono massicciamente i giornali, anche all’estero. Il conventino fu assediato dai pellegrini. Le autorità civili, preoccupate per la presenza di tanta gente, soprattutto ammalati, in quel luogo privo di servizi igienici, temevano epidemie, e inviarono esposti al Ministero della Sanità. Ma niente e nessuno riusciva a fermare l’afflusso dei pellegrini. La gente semplice, colpita da quelle piaghe che richiamavano la Passione di Gesù, dalle conversioni, dalle guarigioni che si verificavano era convinta di trovarsi di fronte a un portentoso segno del soprannaturale. Il Sant’Uffizio, invece, Supremo Tribunale Ecclesiastico per la difesa della Dottrina, temeva che quelle persone fossero vittime di superstizione e scelse un atteggiamento critico, di opposizione, che mantenne poi sempre.
Erano vere le stimmate di Padre Pio?
La gente semplice non aveva dubbi. Ma le persone colte, e gli ecclesiastici, si ponevano domande. E fin dall’inizio, il clero locale, vedendo in Padre Pio un rivale che richiamava i fedeli della loro parrocchie, affermavano che era tutto un imbroglio, una truffa per far soldi.
I superiori di Padre Pio si resero conto che dovevano far chiarezza su quella vicenda, per evitare scandali irreparabili. Trattandosi di ferite, ricorsero ai medici. Il primo giudizio venne dato dal medico locale, il dottor Angelo Maria Merla, che conosceva da anni Padre Pio. La sua opinione si basava su una osservazione elementare: quelle ferite sanguinanti dovevano, secondo le conoscenze mediche, o cicatrizzare o trasformarsi in cancrena. Poiché non accadeva, quello era un fenomeno al sopra della scienza medica.
I superiori di Padre Pio si rivolsero allora a uno specialista più qualificato, il professor Luigi Romanelli, primario dell’ospedale di Barletta. Anche questi escluse “ogni origine naturale”. La notizia del fenomeno si allargava sempre più. Era nota anche a Roma, in Vaticano. Il Superiore Generale dei Frati Cappuccini, si consigliò con un rappresentante del Papa e decisero insieme di inviare a San Giovanni Rotondo un luminare di fama internazionale, il professor Amico Bignami, ordinario di Patologia generale all’Università “La Sapienza”. Questi era ateo e massone dichiarato. Visitò le stimmate di Padre Pio a metà luglio del 1919 e, in coerenza con le sue convinzioni, scartò ogni possibile riferimento soprannaturale e disse che quelle piaghe “dovevano” essere certamente provocate dallo stesso Padre Pio. Ordinò di impedire al religioso di intervenire su esse, fasciandogliele e sigillando le fasciature. Disse che si sarebbero chiuse nel giro di dieci giorni. Ma non accadde.
Fu allora chiesto l’intervento di un altro illustre esperto, il dottor Giorgio Festa, che a Roma aveva un Laboratorio scientifico molto rinomato. Questi eseguì le sue indagini nell’ottobre del 1919, concludendo che le ferite di Padre Pio sfuggivano al controllo medico. Scrisse nella sua relazione: “Hanno un’origine che la nostra conoscenza è molto lontana da poter spiegare”.
Alla fine del 1919, tutti i medici che avevano visitato Padre Pio, ufficialmente o per iniziativa privata, erano convinti della soprannaturalità del fenomeno. Tutti, tranne uno: il professor Bignami. E Il Sant’Uffizio abbracciò e sostenne sempre la tesi del professor Bignami.
Chi erano gli oppositori di Padre Pio e perché lo osteggiavano e lo calunniavano?
Le prime lettere accusatorie contro Padre Pio, arrivate al Sant’Uffizio (e sono ancora conservate nell’Archivio Vaticano), risalgono al giugno 1919, cioè subito dopo la diffusione della notizia delle stimmate. Erano lettere anonime, firmate “un gruppo di fedeli”. Dal contenuto si evince che erano scritte da ecclesiastici. Sostenevano che le stimmate erano una truffa, inventata da Padre Pio e dai suoi confratelli per attirare la gente e raccogliere soldi. Affermavano che i frati conducevano una vita agiata e allegra, dando scandalo con festicciole notturne, frequentate anche da giovani donne. In alcune lettere, si affermava che nel convento c’erano state anche liti sanguinose tra i frati, con fucilate e bastonate, per la spartizione dei soldi e che fu necessario l’intervento dei carabinieri. Ma una successiva inchiesta dimostrò che era tutto falso.
Le lettere anonime si moltiplicarono e divennero un’arma per il clero locale e per l’arcivescovo di Manfredonia, che si impossessarono di quelle voci, le sostennero, le incrementarono, diventando loro i veri registi delle accuse contro Padre Pio. L’arcivescovo di Manfredonia, monsignor Pasquale Gagliardi, aveva amici potenti in Vaticano, per questo le accuse false contro Padre Pio, che egli avallava con lettere personali, venivano accolte in Vaticano come autentiche, con tutte le conseguenze del caso.
Questa situazione durò anni, durante i quali Padre Pio subì condanne e proibizioni di ogni genere. La ingiusta persecuzione fu interrotta da alcuni laici, che fecero una guerra spietata ai calunniatori e alla fine ricorsero all’autorità civile, denunciandoli. Alcuni di essi furono processati e condannati. Il vescovo di Manfredonia destituito. Ma presso il Sant’Ufficio la diffidenza nei confronti di Padre Pio rimase sempre. Il Padre morì con addosso cinque condanne del Sant’Ufficio, mai ritrattate, e decine di inter
venti disciplinari. Nel corso della sua vita, subì 70 “visite apostoliche”, che sono severe inchieste giuridiche ordinate dalle massime autorità ecclesiastiche nei casi di gravissime trasgressioni delle leggi ecclesiastiche, o per accertare delitti, sacrilegi, deviazioni dottrinali e cose del genere.
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[La seconda parte sarà pubblicata domani, mercoledì 23 dicembre]