L’anno scorso le malattie, quest’anno gli antibiotici. Acuto e sagace, Papa Francesco ‘incarta’ gli auguri natalizi alla Curia romana con un discorso di sincera schiettezza, offrendo raccomandazioni e invitando presuli e prelati ad un esame di coscienza, alla luce anche dei recenti scandali che “hanno ferito alcune anime”. “Oggi dovrei parlare degli antibiotici curiali”, annuncia Bergoglio, chiedendo “il permesso” di leggere il testo da seduto e non in piedi perché “da alcuni giorni sono sotto l’influsso dell’influenza e non mi sento molto forte”.
Nel suo discorso, il Papa ribadisce poi “la professionalità e il servizio” che contraddistinguono il lavoro curiale e ricorda il “catalogo delle malattie curiali” elencato nel discorso del 2014, che – dice – “potrebbero colpire ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale”. Malattie che purtroppo anche nel corso di quest’anno hanno continuato a manifestarsi, “causando non poco dolore a tutto il corpo e ferendo tante anime”. “Sembra doveroso affermare che ciò è stato, e lo sarà sempre, oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti”, sottolinea il Papa. e afferma che “la riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda”.
Tuttavia, prosegue il Santo Padre, “le malattie e perfino gli scandali non potranno nascondere l’efficienza dei servizi, che la Curia Romana con fatica, con responsabilità, con impegno e dedizione rende al Papa e a tutta la Chiesa”. E questa “è una vera consolazione”. Sarebbe pertanto una “grande ingiustizia” non esprimere gratitudine e incoraggiamento a tutte le persone “sane e oneste” che lavorano “con dedizione, devozione, fedeltà e professionalità”. Per di più, “le resistenze, le fatiche e le cadute delle persone e dei ministri rappresentano anche delle lezioni e delle occasioni di crescita, e mai di scoraggiamento”, aggiunge il Pontefice.
Che richiama quindi a “tornare all’essenziale”, all’inizio anche di questo Anno Santo della Misericordia, che rappresenta per tutti “un forte richiamo” a “gratitudine, conversione, rinnovamento, penitenza e riconciliazione”. Per farlo, Francesco offre “un sussidio pratico” per poter vivere “fruttuosamente” questo tempo di grazia. O meglio un “catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per chi vuole rendere “feconda” la sua consacrazione o il suo servizio alla Chiesa, a partire da una “analisi acrostica” della parola misericordia.
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1. Missionarietà e pastoralità. “La missionarietà è ciò che rende, e mostra, la curia fertile e feconda; è la prova dell’efficacia, dell’efficienza e dell’autenticità del nostro operare”, spiega il Santo Padre. “La fede è un dono, ma la misura della nostra fede si prova anche da quanto siamo capaci di comunicarla”. La pastoralità, quando “sana”, è invece “una virtù indispensabile specialmente per ogni sacerdote”. Ovvero “l’impegno quotidiano di seguire il Buon Pastore, che si prende cura delle sue pecorelle e dà la sua vita per salvare la vita degli altri”. “Senza queste due ali non potremo mai volare e nemmeno raggiungere la beatitudine del ‘servo fedele”, dice il Papa.
2. Idoneità e sagacia. Quindi “lo sforzo personale di acquistare i requisiti necessari e richiesti per esercitare al meglio i propri compiti e attività, con l’intelletto e l’intuizione”. Due virtù che sono, pertanto, “contro le raccomandazioni e le tangenti”.
3. Spiritualità e umanità. La spiritualità è la “colonna portante di qualsiasi servizio nella Chiesa e nella vita cristiana”, evidenzia Papa Bergoglio, ed “è ciò che alimenta tutto il nostro operato, lo sorregge e lo protegge dalla fragilità umana e dalle tentazioni quotidiane”. L’umanità è “ciò che ci rende diversi dalle macchine e dai robot che non sentono e non si commuovono”. “Quando ci risulta difficile piangere seriamente o ridere appassionatamente allora è iniziato il nostro declino e il nostro processo di trasformazione da ‘uomini’ a qualcos’altro” ammonisce, esortando a “mostrare tenerezza e familiarità e cortesia con tutti”.
4. Esemplarità e fedeltà. Qui è il beato Paolo VI a parlare con il suo monito alla Curia a non dimenticare «la vocazione all’esemplarità». Esemplarità – aggiunge Francesco – “per evitare gli scandali che feriscono le anime e minacciano la credibilità della nostra testimonianza”. Fedeltà, dunque, “alla nostra consacrazione”, ricordando sempre le parole di Cristo: «Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare».
5. Razionalità e amabilità. Una, la razionalità, “serve per evitare gli eccessi emotivi”; l’altra, l’amabilità, “per evitare gli eccessi della burocrazia e delle programmazioni e pianificazioni”. Pertanto due “doti necessarie per l’equilibrio della personalità”. “Ogni eccesso – afferma infatti il Vescovo di Roma – è indice di qualche squilibrio”.
6. Innocuità e determinazione. L’innocuità “ci rende cauti nel giudizio, capaci di astenerci da azioni impulsive e affrettate. È la capacità di far emergere il meglio da noi stessi, dagli altri e dalle situazioni agendo con attenzione e comprensione. È il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, sottolinea Bergoglio. “La determinazione è l’agire con volontà risoluta, con visione chiara e con obbedienza a Dio, e solo per la legge suprema della salus animarum”.
7. Carità e verità. Due virtù indissolubili per l’esistenza cristiana, al punto che – afferma il Pontefice – “la carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa ‘giudiziarismo’ cieco”.
8. Onestà e maturità. Sinonimi, questi, di rettitudine, coerenza e sincerità assoluta “con noi stessi e con Dio”. “Chi è onesto non agisce rettamente soltanto sotto lo sguardo del sorvegliante o del superiore; l’onesto non teme di essere sorpreso, perché non inganna mai colui che si fida di lui”, spiega Papa Francesco. L’onesto – aggiunge- “non spadroneggia mai sulle persone o sulle cose che gli sono state affidate da amministrare”, come fa il “servo malvagio”. L’onestà è, quindi, “la base su cui poggiano tutte le qualità”. Maturità è, invece, “la ricerca di raggiungere l’armonia tra le nostre capacità fisiche, psichiche e spirituali”. La meta, cioè, “di un processo di sviluppo che non finisce mai e che non dipende dall’età che abbiamo”.
9. Rispetto e umiltà. La prima è la virtù “delle anime nobili e delicate”; delle persone “che cercano sempre di avere giusta considerazione degli altri, del proprio ruolo, dei superiori e dei subordinati, dalle pratiche, delle carte, del segreto e della riservatezza” e che sanno “ascoltare attentamente e parlare educatamente”. L’umiltà invece è “virtù dei santi”, di coloro che sono consapevoli di “essere nulla e di non poter fare nulla senza la grazia di Dio”.
10. ‘Doviziosità’ e attenzione. “Doviziosità io ho il vizio dei neologismi, eh!“, scherza il Papa a braccio. Poi avverte: “È inutile aprire tutte le Porte Sante di tutte le basiliche del mondo se la porta del nostro cuore è chiusa all’amore, se le nostre mani sono chiuse al donare, se le nostre case sono chiuse all’ospitare e se le nostre chiese sono chiuse all’accogliere”. Bisogna quindi “curare i dettagli” e “offrire i
l meglio di noi”, non abbassando mai la guardia “sui nostri vizi e mancanze”.
11. Impavidità e prontezza. “Essere impavido significa non lasciarsi impaurire di fronte alle difficoltà”, annota Francesco; significa “agire con audacia e determinazione e senza tiepidezza”, “fare il primo passo senza indugiare”, ma anzi farlo “con libertà e agilità senza attaccarsi alle cose materiali che passano”. In altre parole “essere sempre in cammino, senza mai farsi appesantire accumulando cose inutili e chiudendosi nei propri progetti, e senza farsi dominare dall’ambizione”.
12. Affidabilità e sobrietà. Affidabile – rileva Bergoglio – “è colui che sa mantenere gli impegni con serietà e attendibilità quando è osservato ma soprattutto quando si trova solo; è colui che irradia intorno a sé un senso di tranquillità perché non tradisce mai la fiducia che gli è stata accordata”. Last but not least la sobrietà “è la capacità di rinunciare al superfluo e di resistere alla logica consumistica dominante”. In tal senso, sobrietà è sinonimo di “prudenza, semplicità, essenzialità, equilibrio e temperanza”, spiega il Santo Padre. “La sobrietà è uno stile di vita che indica il primato dell'altro come principio gerarchico ed esprime l'esistenza come premura e servizio verso gli altri”, soggiunge, “chi è sobrio è una persona coerente ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare e vivere con il senso della misura”.
Dodici rimedi, dunque, quelli stilati dal Papa per rendere evidente che “la misericordia non è un sentimento passeggero”, ma “la scelta di chi vuole avere i sentimenti del Cuore di Gesù”. Sia dunque la misericordia “a guidare i nostri passi, a ispirare le nostre riforme, a illuminare le nostre decisioni”, auspica il Pontefice. “Sia essa la colonna portante del nostro operare. Sia essa a insegnarci quando dobbiamo andare avanti e quando dobbiamo compiere un passo indietro”.
In conclusione del discorso, Francesco recita una “preghiera stupenda” comunemente attribuita al Beato Oscar Arnulfo Romero, ma pronunciata per la prima volta dal cardinale John Dearden. Anch’essa un bugiardino per prevenire certe malattie…
Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.
Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.
Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte
di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio.
Niente di ciò che noi facciamo è completo.
Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.
Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.
Nessuna preghiera esprime completamente la fede.
Nessun credo porta la perfezione.
Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.
Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.
Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.
Di questo si tratta:
noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.
Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.
Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.
Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.
Non possiamo fare tutto,
però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.
Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.
Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.
Una opportunità perché la grazia di Dio entri
e faccia il resto.
Può darsi che mai vedremo il suo compimento,
ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.
Siamo manovali, non capomastri,
servitori, non messia.
Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.