Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata oggi da monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, in occasione dell’apertura della Porta Santa al Cottolengo.
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Cari amici,
Questa porta santa nella Piccola Casa delle Divina Provvidenza ci ricorda che la misericordia di Dio si manifesta soprattutto all’accoglienza dai poveri e degli ultimi che il Signore proclama Beati perché di essi è il regno dei cieli. Vorrei richiamare quanto ha detto qui in questo luogo papa Francesco nella sua visita a Giugno scorso.
Il Cottolengo ha meditato a lungo la pagina evangelica del giudizio finale di Gesù, al capitolo 25 di Matteo. E non è rimasto sordo all’appello di Gesù che chiede di essere sfamato, dissetato, vestito e visitato. Spinto dalla carità di Cristo ha dato inizio ad un’Opera di carità nella quale la Parola di Dio ha dimostrato tutta la sua fecondità (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 233). Da lui possiamo imparare la concretezza dell’amore evangelico, perché molti poveri e malati possano trovare una “casa”, vivere come in una famiglia, sentirsi appartenenti alla comunità e non esclusi e sopportati.
La ragion d’essere di questa Piccola Casa non è l’assistenzialismo, o la filantropia, ma il Vangelo: il Vangelo dell’amore di Cristo è la forza che l’ha fatta nascere e che la fa andare avanti: l’amore di predilezione di Gesù per i più fragili e i più deboli.
Seguire l’esempio che il Cottolengo ci ha lasciato significa avere fede nella Provvidenza di Dio Padre anche nei momenti difficili e faticosi o che
sembrano impossibili da gestire o da compiere verso gli altri. Non dobbiamo mai dimenticare che il bene che riusciamo a fare in piccolo Dio lo fa diventare grande e immenso di frutti.
Passare la porta santa al Cottolengo significa dunque :
– chiedere al Signore di usare misericordia verso di noi perché non lo amiamo abbastanza nei poveri in cui lui è vivo e presente come ci ha
ricordato nel vangelo.
– riconoscere Cristo nei fratelli e sorelle infermi e poveri porta alla conversione del cuore, dona vera gioia che si prova nel donarsi agli altri, apre la vita a una relazione concreta e ricca di bene per noi stessi e coloro a cui doniamo tempo, beni e soprattutto affetto e amore.
– esprimere il nostro impegno di passare da una vita chiusa nei nostri interessi e tornaconti personali alla gratuità di saperci mettere a servizio e a disposizione degli altri donando misericordia,perdono, accoglienza,fraternità, amicizia. Anche questi sono gesti di misericordia che possono darci la garanzia di riconoscere e incontrare il Signore perché chi soffre per motivi interiori, la solitudine e l’indifferenza e l’abbandono degli altri è un povero di speranza e di amore.
Anche per voi cari amici ammalati e poveri passare la Porta santa significa credere che l’amore di Dio vi sostiene e che mai dovete perdere la speranza in lui che è Padre amorevole e amico di ciascuno di voi. Anche voi potete fare opere di misericordia verso altre persone che sono più povere di voi e che hanno bisogno della vostra amicizia e del vostro sostegno solidale. Anche voi necessitate del perdono del Padre quando seguite le leggi del mondo: egoismo, chiusura in se stessi, scarsa considerazione degli altri, falsità e menzogna, invidia e noncuranza di chi sta peggio.
C’è comunque un dato positivo che illumina le tenebre che ci circondano. In questa città dove hanno seminato a larghe mani tanti Santi, si è andato consolidando lo sforzo di camminare e lavorare in sinergia tra tutte le realtà istituzionali, ecclesiali, del mondo del lavoro e della cultura e formazione, del welfare per ottimizzare le risorse disponibili e attivare a vari livelli un vasto volontariato sociale che rappresenta una efficace forza propulsiva che traccia le vie del suo futuro. L’Agorà ne è stato l’esempio ma non è il solo perché giorno per giorno ci si incontra non solo per dialogare e fare progetti, ma per agire e cercare di dare risposte appropriate alle varie forme di povertà.
Mi permetto ora di richiamare alcuni obiettivi particolari,non certo esaustivi a cui tendere tutti insieme: quello di fare in modo che tanti cittadini e abitanti delle periferie esistenziali della nostracittà non restino a far parte di quella città invisibile che di fatto esiste e spesso viene ignorata da l’altra città che sta bene o relativamente meglio. Finché ogni persona che è tra noi non giunge ad essere riconosciuto e promosso nelle sue possibilità umane e sociali, sia sul piano dei diritti e della giustizia, sia su quello della comunità e sia messo in grado di sentirsi attivo e responsabile del suo e nostro futuro,non dobbiamo considerarci a posto né davanti alla nostra coscienza, né davanti a Dio, né davanti alla comunità
ecclesiale e civile.
L’altro obiettivo comune è quello di operare insieme perché i servizi e l’accoglienza non siano considerati una «elemosina saltuaria» e neppure soltanto la risposta a una richiesta o a un bisogno. Un welfare di assistenza è certo necessario nelle emergenze ma non risponde ai criteri propri della carità perché non salvaguardia la dignità della persona e la lascia succube di una dipendenza che non risolve la sua situazione e ne accentua la precarietà permanente. Occorre impegnarci per favorire la condivisione tra le persone basata sull’interscambio di doni, rendendole autonome e in grado di provvedere a se stessi e ai propri cari. Non possiamo e dobbiamo dunque accontentarci di un welfare privo di una strategia che affronti
seriamente i nodi di fondo dei problemi che sono: gli investimenti per il lavoro di chi lo ha perso come sono tante persone in età adulta ma
non ancora pensionabile, di chi lo cerca in particolare i giovani; la cura della salute e dunque della sanità che preoccupa le famiglie e gli anziani..; e ancora la casa,vero dramma della nostra città, per molte famiglie sottoposte a sfratti incolpevoli.
Infine l’altro obiettivo è quello che ci viene dal Natale. I Pastori e i Magi vanno a Betlemme e riconoscono in quel bambino, povero, umile, rifiutato dalla città, piccolo e insignificante per la storia del mondo, il Figlio di Dio, il Salvatore annunciato dagli angeli. Con questa scelta che è anche una forte provocazione Dio ha tracciato la via dell’autentico progresso umano e sociale. Si tratta di ripartire dagli ultimi, dai piccoli e da quelli che non contano e non hanno peso e voce se vogliamo rovesciate il trend negativo e preoccupante che stiamo vivendo. Mi chiedo quando i programmi politici, economico- finanziari, culturali, ecclesiali e sociali prenderanno in considerazione questa scelta come emblematica per svolgere bene il
loro compito e contribuire a dare vita a un nuovo umanesimo dove al centro di ogni ambito sociale ci sia la persona e i suoi diritti di giustizia, di equità, ma anche quelli della sua famiglia e del tempo libero da dedicare a se stessi, ai propri cari e agli altri. La via del potere sotto ogni profilo deve essere il servizio e il bene comune, non il consenso populista o il profitto a proprio vantaggio o quel business commerciale che guarda solo all’ interesse economico ignorando ogni altro valore di riferimento alla persona del lavoratore e dello stesso cliente.
Questo anno giubilare ci renda tutti più umili e meno orgogliosi, più aperti al dialogo e alla collaborazione e meno autoreferenziali, più protesi a puntare sui valori che contano poco o niente sul piano del profitto mercantile o finanziario ma contano moltissimo su quello culturale, sociale e religioso come sono l’onestà,la giustizia sociale,l’equità,il rispetto di ciascuno nelle sue diversità, e la promozione della persona e del bene comune messi al centro di ogni realtà umana, religiosa e civile. Preghiamo dunque tutti insieme perché la misericordia del Signore e la sua bontà cancelli i nostri peccati di superbia e di chiusura agli altri e ci apra alla gioia del suo perdono e della sua grazia per amarci di vero cuore come Lui ci ama.
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Mons. Nosiglia: “Ripartiamo dagli ultimi e dai piccoli, per rovesciare il trend negativo che stiamo vivendo”
Aprendo la Porta Santa al Cottolengo, l’arcivescovo di Torino esorta i fedeli ad essere “più umili” e “meno autoreferenziali”