The Visitation

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Una visita storica

Lectio Divina sulle letture per la IV Domenica di Avvento – Anno C – 20 dicembre 2015

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre come di consueto la seguente riflessione sulle letture per la IV Domenica di Avvento – Anno C – 20 dicembre 2015.

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Rito Romano

4ª Domenica di Avvento –  Anno C – 20 dicembre 2015
Mi 5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45

Rito Ambrosiano

6ª Domenica di Avvento
Is 62,10-63,3b; Sal 71; Fil 4,4-9; Lc 1,26-38a
Domenica dell’Incarnazione o della Divina Maternità della Beata Vergine Maria

1) Un sì di fede che si fa cammino di carità.

Dopo aver risposto “sì” all’annuncio portatole dall’angelo Gabriele, la Vergine Madre di colui che sarà chiamato “Figlio dell’Altissimo” va dalla cugina Elisabetta, che -anche se molto avanti con gli anni – attendeva un figlio. L’anziana parente non appena vede arrivare Maria, grazie al sussulto di gioia del bambino che porta in grembo, riconosce che davanti a lei vi è qualcuno di grande. Elisabetta è colmata di Spirito Santo e dà il suo benvenuto a Maria esclamando a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (cfr Lc 1, 41-42). Benedetta1 e beata perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore.

Il brano del Vangelo di oggi è centrato sulla scena dell’incontro tra la Vergine Maria e la cugina Elisabetta. Per fare questo incontro di carità la Madonna si è messa in cammino di carità mossa da uno stupore pieno di gratitudine per quanto le è accaduto e che porta nel suo grembo. È grazie ai passi della Madonna che, ancor prima di nascere, Gesù è in cammino sulle strade del mondo andando verso gli uomini. Questo cammino è esempio per il nostro “dovere” di metterci in cammino sulle strade degli uomini per portare la luce del Vangelo a quanti non lo conoscono.

L’evangelista Luca non riporta le parole di saluto, che Maria rivolge ad Elisabetta quando arriva in casa sua. Questo silenzio è denso di significato. Proprio perché senza parole, il saluto di Maria mette in primo piano la sua persona, non ciò che eventualmente ha da dire. In primo piano è la voce (cfr. Lc 1,44): non le parole di Maria hanno fatto sussultare il bambino, ma la sua voce. E’ nella voce di Maria che il bambino Giovanni percepisce la presenza del Messia atteso.

Il saluto di Maria, dunque, non è una semplice forma di cortesia, ma un’espressione di amore. Il saluto di Maria tocca tutto l’essere di Elisabetta, causando in lei il trasalimento di gioia, il sussulto di Giovanni nel grembo della madre una volta sterile. E’ un saluto che allude a quella vita nuova che è germogliata nel grembo di entrambe, e che è segno della salvezza inaugurata da Dio. Anche Elisabetta è pienadi stupore per quanto le sta accadendo e per la visita del Signore portato dalla cugina Maria. Il suo è uno stupore che si fa domanda: “A che devo che la Madre del mio Signore venga a me?” A questo interrogativo la Madonna risponde intonando il suo inno di fede e di ringraziamento a Dio, il Magnificat, che si trova subito dopo il brano del Vangelo di oggi. Forse questo Cantico è nato in Maria durante il viaggio a piedi – lungo circa 150 chilometri – per arrivare fino ad Ain Karim, villaggio a 7-8 chilometri da Gerusalemme, dove abitavano Zaccaria ed Elisabetta.

Quando recitiamo il Magnificat, soprattutto la sera alla fine dei Vespri, cerchiamo di immedesimarci in Maria e di guardare alla nostra vita come lei guardava alla sua: con occhi di fede. Cerchiamo di imitare Maria, che ebbe una fede salda, una carità delicata, un’umiltà sincera e la gioia di portare Cristo al mondo.

2) Un sì umile e verginale, quindi materno.

Nel Magnificat la Madonna manifesta le due fondamentali direttrici, lungo le quali Dio agisce nella storia. Innanzitutto, la consapevolezza che la salvezza deriva unicamente dalla gratuita iniziativa di Dio e dalla sua fedeltà misericordiosa. In secondo luogo – contrariamente alla logica umana – questa salvezza si attua nella storia degli “anawim” biblici, cioè di quei fedeli che si riconoscono “poveri” non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potete, ma anche nell’umiltà profonda del cuore. E’ tramite i “poveri”, i puri e semplici di cuore, gli umili che Dio porta avanti il suo disegno di salvezza per l’umanità.

La Vergine Maria nel suo inno canta come l’umiltà sia gradita a Dio e come lei sia stata scelta per essere la Madre di Gesù perché umile. L’umiltà di Maria fu il terreno adatto per la realizzazione del progetto di Dio. In una bella omelia, San Bernardo di Chiaravalle mette in luce la grandezza dell’umiltà in Maria, non esitando ad attribuire ad essa – l’umiltà – un’importanza prioritaria anche di fronte alla stessa verginità.  “Bella unione – scrive l’abate di Chiaravalle – della verginità con l’umiltà. Molto piace a Dio quell’anima in cui l’umiltà da pregio alla verginità, e la verginità adorna l’umiltà… Senza umiltà oso dire che neppure la verginità di Maria sarebbe stata gradita a Dio… Se dunque Maria non fosse stata umile, non sa­rebbe disceso in lei lo Spirito Santo… È dunque chiaro che, perché essa concepisse per opera dello Spirito Santo, ‘Dio, come lei canta, ha riguardato l’umiltà della sua serva’ (Lc 1,48), piuttosto che la sua verginità. E se piacque a causa della sua verginità, concepì però per la sua umiltà. Anzi, è chiaro anche che se la verginità piacque, certamente fu in vista della sua umiltà”.

Ma l’umiltà non è fine a se stessa, è finalizzata allo splendore della carità e in Maria vi era l’unione “di un’altissima carità e di una profondissima umiltà”(San Bernardo di Chiaravalle).

Nella visitazione ad Elisabetta, Maria, “Vergine Madre, umile e alta più che creatura” (Dante), porta in grembo il Verbo fatto carne e si fa, in qualche modo, “tabernacolo” – il primo “tabernacolo” della storia – dove il Figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si concede all’adorazione di Elisabetta, quasi “irradiando” la sua luce attraverso gli occhi e la voce di Maria” (San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucarestia, n. 5).

La Madonna non è tanto una creatura che sa, quanto una creatura che crede perché dotata di grazia, di fede e così diventa figura della Chiesa che, nella fede, accoglie il proprio Salvatore e lo porta nel mondo, perché l’umanità intera possa gioirne.

In questa pastorale della Visitazione, ci sono di esempio le Vergini consacrate nel mondo, che con il loro lavoro “secolare” si fanno missionarie dell’amore camminando quotidianamente con i fratelli e sorelle in umanità, che così possono avere la gioia di essere considerati e amati.

Tale interessamento è ispirato dall’amore verginale per il Signore Gesù, amato sopra ogni cosa e fatto amare. Queste donne consacrate testimoniano che il cristiano autentico trasforma in carità tutte le cose che tocca: trasforma in carità il lavoro, la vita, la preghiera, il rapporto con gli altri. Qualunque cosa il cristiano pratichi viene come rinnovata, santificata, trasformata dalla forza dell’amore

L’importante è che nella nostra preghiera il grazie umile e amoroso abbia il primato. Come ha fatto Maria che con il suo Magnificat ha detto “grazie”, annunciando il Vangelo della Gioia: la lieta notizia dell’innamoramento di Dio, che si fa carne per noi.

L’importante è che ognuno risponda con umiltà e secondo le sue capacità. Se guardiamo alla
scena della Visitazione vediamo Zaccaria che risponde con la sua fatica a credere, Elisabetta che benedice, Maria che loda, Giovanni che “danza”. In vari modi ognuno di loro riconosce e porta il Signore nel mondo. Viviamo questo avvento in modo che sia pronunciata per ciascuno di noi la parola: Benedetto – Benedetta sei tu perché porti il Signore, come Maria. Allora capiremo meglio quanto dice Santo Ambrogio: “Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo: ognuna infatti accogli in sé il Verbo di Dio” (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27).

L’importante è verginalmente custodire e alimentare la memoria di Dio, custodendola in noi stessi e cercando di risvegliarla negli altri. “E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria di Dio” (Papa Francesco, 29 settembre 2015).

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NOTE

1 Benedire nella tradizione biblica significa – in primo luogo – dire bene di qualcuno, lodare, complimentarsi e, poi, significa dire bene a qualcuno ovvero augurare. La benedizione come lode fa riferimento ad una realtà attuale, mentre la benedizione come augurio chiama in causa ed impegna il futuro. Il significato augurale della benedizione, il benedire è esercitare sovranità sulla storia di qualcuno, impegnare e decidere il futuro. L’uso ebraico utilizza spesso questo verbo “benedire” nella vita e accompagna le persone amate con il suo augurio, la sua benedizione.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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