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“Il genocidio armeno – 100 anni di silenzio”, un libro per fare luce su una tragedia ancora dimenticata

Scritto dai giornalisti Alessandro Aramu, Gian Micalessin e Anna Mazzone, il volume è il frutto di interviste e reportage in Armenia e Siria ed è promosso dal Centro Italo-Arabo Assadakah

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Un libro per le nuove generazioni, per far conoscere al mondo il dramma di una tragedia ancora troppo spesso ignorata dai libri di storia e dalla comunità internazionale. Con questo spirito è stato scritto Il genocidio armeno – 100 anni di silenzio, presentato a Roma presso la libreria Arion di Montecitorio. Il volume, promosso dal Centro Italo-Arabo Assadakah Sardegna, con la collaborazione dell’agenzia di stampa Armenpress e dell’Ambasciata armena in Italia, nasce da una missione giornalistica in Armenia di Alessandro Aramu, direttore della rivista Spondasud e autore di numerosi reportage in Medio Oriente.

Il giornalista ha intervistato gli unici tre sopravvissuti del genocidio armeno ancora in vita ed è stato accompagnato dal fotografo di cinema Romolo Eucalitto, che ha immortalato, con scatti in bianco e nero, i volti di chi ha vissuto le persecuzioni turche, e quelli dei loro figli e discendenti per cui la memoria non è solo un ricordo, ma qualcosa di ancora vivo nell’esistenza quotidiana.

Il libro è arricchito da diversi reportage in Siria dell’editorialista del Giornale Gian Micalessin, incentrati sulle persecuzioni dell’Isis contro i cristiani, e da un capitolo sulla vicenda del Nagorno Karabakh, territorio conteso fra  Armenia e Azerbaijan, scritto dalla giornalista di Panorama Anna Mazzone. La presentazione è stata introdotta dal giornalista siriano di origini armene Naman Tarcha e ha visto la partecipazione di Raimondo Schiavone, presidente del Centro Italo-Arabo e autore della prefazione del volume.

“La memoria della gente che ha vissuto questo dramma è qualcosa di molto importante in un momento in cui i discendenti degli armeni sopravvissuti, trasferitisi in Siria, vedono la storia ripetersi per mano dell’Isis”, ha commentato Tarcha, introducendo gli interventi degli autori.

“Nell’anno del centenario del genocidio – ha dichiarato Schiavone – abbiamo voluto lasciare il segno con questo libro che racconta quelle terribili vicende con l’occhio dei testimoni diretti. È un pezzo importantissimo di storia ancora trascurato e negato da molti. Volumi come questo servono a fare sì che la storia non si ripeta e purtroppo ciò che sta accadendo in Siria dimostra ancora una volta che la storia non ha insegnato niente”.

“Un giorno – ha raccontato Aramu – ero a pranzo con l’ambasciatore armeno in Italia e ci chiedevamo come poter rendere omaggio alle vittime del genocidio nell’anno del centenario. È nata così l’idea di raccogliere direttamente le testimonianze dei sopravvissuti in un libro dal taglio molto giornalistico per dare un senso di contemporaneità a eventi ormai lontani un secolo”.

Uno degli ultracentenari intervistati è Aron, personaggio fra i più attivi, negli ultimi decenni, per far conoscere il dramma vissuto dal popolo armeno. Aveva 3 anni all’epoca, ma ha ricordi precisi di quanto è accaduto, ferite ancora aperte nella sua anima. “Non ha parlato direttamente – ha spiegato l’autore – ma lo ha fatto per bocca della figlia. Questo perché, negli anni, ha esercitato troppo la sua memoria e non riesce più a sopportare il dolore del ricordo. Le uniche parole uscite dalla sua sono state la sua età e la sua data di nascita. Poi ha ascoltato tutto il tempo, agitando il rosario fra le mani e senza quasi mai alzare gli occhi sofferenti e lucidi di commozione”.

Altra testimone intervistata è Silvard, “103 anni di età con ancora la forza e il vigore di una ragazza”, che ha ancora immagini nitide della resistenza opposta dalla sua famiglia e dall’intera comunità armena agli attacchi dei turchi nell’area del Monte di Mosè nell’Anatolia sudorienale. “Si ricorda – ha sottolineato il giornalista – delle notti nei boschi, con la madre e la nonna, a cercare frutta da portare al padre e allo zio che combattevano contro i turchi. Ricorda lo zio assassinato con un colpo di pistola alla testa e il suo cadavere gettato in un fiume. Per molto tempo Silvard non ha mangiato pesce perché lo associava all’immagine dell’acqua tinta di rosso dal sangue dello zio ucciso”.

Le interviste non rappresentano solo una memoria individuale, ma anche familiare e comunitaria. I parenti discendenti dei sopravvissuti hanno partecipato attivamente. “Abbiamo anche intervistato passanti per strada – ha concluso Aramu – per capire cosa sia rimasto del genocidio armeno in patria. Non c’è un armeno che non lo viva come un qualcosa di ancora vivo e presente. Ma esercitano questa memoria senza odio contro il popolo turco, con cui si vogliono riappacificare. Il vero bersaglio è il governo turco che ancora non riconosce le proprie colpe”.

Infine Anna Mazzone ha parlato del caso del Nagorno Karabakh, territorio con 200mila abitanti di etnia armena ufficialmente sotto il controllo azero ma, di fatto, indipendente dal 1994 dopo una guerra di due anni che ha visto l’Armenia sostenere la piccola repubblica indipendentista contro l’Azerbaijan. Da allora gli abitanti del Nagorno Karabakh vivono in una situazione di perenne guerra sospesa, con il timore che un nuovo conflitto possa scoppiare da un momento all’altro. Così come per il genocidio armeno con la Prima Guerra Mondiale, il conflitto armeno-azero passò in secondo piano perché contemporaneo alla guerra nei Balcani nei territori della ex Jugoslavia.

“La repubblica del Nagorno Karabakh – ha spiegato la giornalista – ha un proprio piccolo parlamento e un sistema di leggi sul modello europeo, ma la comunità internazionale non riconosce la sua indipendenza. Durante un mio videoreportage per Sky Tg24 ho conosciuto un prete che aveva combattuto la guerra e che aveva sempre con sé un’arma perché temeva lo scoppio di un nuovo conflitto in qualunque momento. Ho visto situazioni molto particolari come bambini che giocano partite di calcio di 18 minuti perché 20 minuti è il tempo necessario a ricaricare una granata, dopo di che si può essere nuovamente dei bersagli”.

Inevitabile un riferimento all’attuale situazione in Siria e Iraq. “Sostenendo l’Isis in funzione anti Assad – ha concluso Mazzone – il governo turco sta perpetrando un altro genocidio. Le vittime sono gli yazidi e i siriani e gli iracheni cristiani (alcuni dei quali di origine etnica armena) e musulmani sciiti. Il tutto senza la condanna di buona parte della comunità internazionale. Per l’Occidente la Turchia, membro della Nato, è un alleato troppo prezioso che non si può perdere. Per questo nemmeno il presidente Obama ha mai parlato di ‘genocidio’ riferendosi alla tragedia del popolo armeno”.

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Alessandro de Vecchi

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