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"Insieme per la redenzione del mondo". Dichiarazione di 25 rabbini ortodossi

Alla vigilia del documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, i rabbini di tutto il mondo sottoscrivono un testo per invitare ebrei e cristiani a lavorare come partner per affrontare le sfide morali di oggi

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Si intitola To Do the Will of Our Father in Heaven: Toward a Partnership between Jews and Christians (“Fare la volontà del nostro Padre in cielo: verso un partenariato tra ebrei e cristiani”) la dichiarazione sul cristianesimo sottoscritta ieri da 25 rabbini ortodossi e pubblicata, alla vigilia della presentazione in Vaticano del nuovo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo dedicato al 50° anniversario della dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate

Il testo — che porta la data del 3 dicembre — è stato diffuso sul sito del Center for Jewish-Christian Understanding and Cooperation (Cjcuc) ed è firmato da rabbini alla guida, nei rispettivi Paesi, di importanti comunità e istituzioni. Quattordici sono di Israele; quattro operano negli Stati Uniti; due della Germania e altrettanti della Svizzera. Nella lista figurano inoltre Shmuel Sirat (Francia), il rabbino capo di Finlandia, Simon Livson, e il rabbino capo di Serbia, Isak Asiel.

Di seguito pubblichiamo una traduzione de L’Osservatore Romano dall’inglese del documento:

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Dopo quasi due millenni di ostilità reciproca e di allontanamento, noi rabbini ortodossi che guidiamo comunità, istituzioni e seminari in Israele, negli Stati Uniti e in Europa riconosciamo la storica opportunità che ci si prospetta ora. Cerchiamo di fare la volontà del nostro Padre in Cielo, accettando la mano che ci viene tesa dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle cristiani. Ebrei e cristiani devono lavorare insieme come partner per affrontare le sfide morali del nostro tempo.
La Shoah è terminata settant’anni fa. È stata il culmine perverso di secoli di mancanza di rispetto, di oppressione e di rifiuto degli ebrei e della conseguente ostilità che si è creata tra ebrei e cristiani. In retrospettiva, è evidente che l’incapacità di superare questo disprezzo e di impegnarsi in un dialogo costruttivo per il bene dell’umanità ha indebolito la resistenza alle forze malvage dell’antisemitismo, che hanno trascinato il mondo nell’assassinio e nel genocidio.

Riconosciamo che a partire dal concilio Vaticano II gli insegnamenti ufficiali della Chiesa cattolica sull’ebraismo sono cambiati in modo fondamentale e irrevocabile. La promulgazione di Nostra aetate cinquant’anni fa ha dato avvio al processo di riconciliazione tra le nostre due comunità. Nostra aetate e i successivi documenti ufficiali della Chiesa da essa ispirati rifiutano in modo inequivocabile ogni forma di antisemitismo, affermano l’eterna Alleanza tra Dio e il popolo ebraico, respingono il deicidio e sottolineano il rapporto unico tra cristiani ed ebrei, definiti «nostri fratelli maggiori» da Papa Giovanni Paolo II e «nostri padri nella fede» da Benedetto XVI. Su questa base, esponenti cattolici e di altre fedi cristiane hanno avviato un dialogo sincero con gli ebrei, che è cresciuto nel corso degli ultimi cinque decenni. Apprezziamo l’affermazione, da parte della Chiesa, riguardo al posto unico che Israele occupa nella storia sacra e nella redenzione finale del mondo. Oggi gli ebrei sperimentano amore sincero e rispetto da parte di molti cristiani, espressi attraverso numerose iniziative di dialogo, incontri e conferenze in tutto il mondo.

Come Maimonide e Yehudah Halevi, riconosciamo che il cristianesimo non è un incidente né un errore, bensì l’esito dovuto alla volontà divina e dono alle nazioni. Separando ebraismo e cristianesimo, Dio ha voluto una separazione fra interlocutori con importanti differenze teologiche, non una separazione tra nemici. Il rabbino Jacob Emden ha scritto che «Gesù ha portato un doppio beneficio al mondo. Da un lato ha rafforzato in modo maestoso la Torah di Mosè […] e nessuno tra i nostri Saggi si è pronunciato con più enfasi sull’immutabilità della Torah. Dall’altro ha tolto gli idoli dalle nazioni e le ha impegnate nei sette comandamenti di Noè, in modo che non si comportassero come le bestie dei campi, instillando saldamente in loro tratti morali […]. I cristiani sono comunità che operano per il bene del cielo che sono destinate a perdurare, i cui intenti sono per il bene del cielo e la cui ricompensa non verrà negata». Il rabbino Samson Raphael Hirsch ci ha insegnato che i cristiani «hanno accettato la Bibbia ebraica dell’Antico Testamento come un libro di rivelazione divina. Professano la loro fede nel Dio del cielo e della terra come proclamato nella Bibbia e riconoscono la sovranità della divina provvidenza». Ora che la Chiesa cattolica ha riconosciuto l’eterna Alleanza tra Dio e Israele, noi ebrei possiamo riconoscere la costante validità costruttiva del cristianesimo come nostro partner nella redenzione del mondo, senza temere che ciò venga sfruttato per fini missionari. Come affermato dal Rabbinato capo della Commissione bilaterale d’Israele con la Santa Sede, sotto la guida del rabbino Shear Yashuv Cohen, «non siamo più nemici, ma partner univoci nell’articolare i valori morali essenziali per la sopravvivenza e il benessere dell’umanità». Nessuno di noi può realizzare da solo la missione di Dio nel mondo.

Sia gli ebrei sia i cristiani hanno la missione comune, derivante dall’Alleanza, di perfezionare il mondo sotto la sovranità dell’Onnipotente, di modo che l’intera umanità invochi il suo nome e gli abomini siano rimossi dalla terra. Comprendiamo l’esitazione di entrambe le parti ad affermare questa verità e invitiamo le nostre comunità a superare tali timori, al fine di instaurare un rapporto di fiducia e di rispetto. Il rabbino Hirsch ha insegnato anche che il Talmud pone i cristiani, «per quanto riguarda i doveri tra uomo e donna, sullo stesso identico piano degli ebrei. Essi hanno rivendicato il beneficio di tutti i doveri non solo di giustizia, ma anche di amore fraterno attivo». In passato i rapporti tra cristiani ed ebrei sono spesso stati visti attraverso il rapporto di animosità fra Esaù e Giacobbe; tuttavia già verso la fine del XIX secolo il rabbino Naftali Zvi Berliner (Netziv) comprese che gli ebrei e i cristiani erano destinati da Dio a essere partner amorevoli: «In futuro, quando i figli di Esaù saranno mossi da puro spirito a riconoscere il popolo d’Israele e le sue virtù, allora anche noi saremo spinti a riconoscere che Esaù è nostro fratello».

Le cose che noi ebrei e cristiani abbiamo in comune sono più di quelle che ci dividono: il monoteismo etico di Abramo; la relazione con l’unico Creatore del cielo e della terra, che ama e si prende cura di tutti noi; le sacre Scritture ebraiche; la fede in una tradizione vincolante; e i valori della vita, della famiglia, della rettitudine compassionevole, della giustizia, della libertà inalienabile, dell’amore universale e della somma pace nel mondo. Il rabbino Moses Rivkis (Be’er Hagoleh) conferma ciò, scrivendo che «i saggi hanno fatto riferimento solo all’idolatria del loro tempo, che non credeva nella creazione del mondo, nell’esodo, negli atti miracolosi di Dio e nella legge di origine divina. Al contrario, la gente tra la quale siamo disseminati crede in tutti questi elementi essenziali della religione».
Il nostro partenariato non sminuisce in alcun modo le differenze che perdurano tra le due comunità e le due religioni. Crediamo che Dio ricorra a molti messaggeri per rivelare la sua verità, mentre affermiamo i doveri etici fondamentali che tutte le persone hanno dinanzi a Dio, che l’ebraismo ha sempre insegnato attraverso l’alleanza noetica universale.

Nell’imitare Dio, ebrei e cristiani devono dare esempio di servizio, amore incondizionato e santità. Siamo tutti creati a immagine santa di Dio, ed ebrei e cristiani rimarranno dediti all’Alleanza svolgendo insieme un ruolo attivo nel redimere il mondo.
 

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ZENIT Staff

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