Nelle settimane scorse, da quando è stato avviato il processo per la diffusione di documenti riservati comunemente indicato come “Vatileaks 2”, si sono scritte e dette molte osservazioni e valutazioni sul sistema giudiziario dello Stato della Città del Vaticano e in particolare sul Tribunale presso cui tale processo è incardinato e le procedure da esso seguite. Poiché molte di tali osservazioni sono inappropriate – o a volte del tutto ingiustificate – è giusto offrire alcune considerazioni per maturare una visione più chiara e una valutazione più corretta di questo aspetto fondamentale della vicenda.
Anzitutto, anche se dovrebbe essere ovviamente evidente, bisogna ricordare che nello Stato della Città del Vaticano vige un sistema giudiziario proprio, del tutto autonomo e separato da quello italiano, dotato dei propri organi giudiziari per i diversi gradi di giudizio e della necessaria legislazione in materia penale e di procedura penale.
In esso esistono tutte le garanzie processuali caratteristiche dei più evoluti ordinamenti contemporanei. Infatti sono previsti e pienamente attuati tutti i principi fondamentali, quali la precostituzione per legge del giudice naturale, la presunzione d’innocenza, la necessità di una difesa tecnica (tramite avvocati di fiducia o d’ufficio), la libertà del collegio giudicante di formarsi una convinzione sulla base delle prove, in un dibattimento pubblico e nel contraddittorio tra accusa e difesa, sino alla emanazione di una sentenza che deve essere motivata e che può essere impugnata sia con l’appello sia poi con il ricorso per cassazione. Più di recente, infine, è stato anche espressamente introdotto nell’ordinamento vaticano il diritto al giusto processo ed entro un termine ragionevole (art. 35 Legge N. IX, dell’11 luglio 2013).
Le persone incaricate della funzione giurisdizionale, sia inquirente che giudicante, vengono poi selezionate tramite cooptazione, non potendo essere reclutate mediante un concorso pubblico tra i cittadini dello Stato, come normalmente avviene presso gli altri Stati. Esse vengono così selezionate tra professionisti di altissimo livello, già di consolidata esperienza e di fama riconosciuta (come il curriculum di ciascuno di essi, facilmente reperibile su internet, attesta). Sono infatti tutti professori universitari in Università italiane.
Quanto agli avvocati, si è lamentata un’ipotetica violazione del diritto di difesa degli imputati, ai quali non si sarebbe consentito di essere assistiti da avvocati di fiducia di loro scelta. A questo proposito occorre evitare un equivoco di fondo: le regole vigenti nell’ordinamento vaticano, applicate dalle autorità giudiziarie, sono perfettamente in linea con quelle della maggior parte degli ordinamenti processuali del mondo, dove l’ammissione al patrocinio nei tribunali richiede una specifica abilitazione all’esercizio della professione, rilasciata in presenza di requisiti e titoli stabiliti da ogni ordinamento.
Non deve sorprendere, quindi, che un avvocato abilitato in Italia non possa per ciò solo patrocinare nello Stato della Città del Vaticano, così come non potrebbe patrocinare nemmeno in Germania, in Francia, ecc. Il ragionamento contrario, d’altronde, implicherebbe che un imputato straniero potrebbe anche pretendere di essere assistito in Italia da un avvocato parimenti straniero, solo perché di propria fiducia, il che non è però consentito. Tali condizioni non costituiscono quindi un limite dell’ordinamento vaticano, ma un’ulteriore conferma della sua autonomia e completezza.
Tutti gli Avvocati sono iscritti a un Albo, facilmente consultabile, di professionisti ammessi a patrocinare innanzi al Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, nel quale vengono selezionati gli avvocati d’ufficio o scelti gli avvocati di fiducia. Si tratta di avvocati qualificati non solo presso i tribunali della Chiesa e della Santa Sede, ma anche presso i tribunali italiani, essendo tutti iscritti nei rispettivi consigli dell’Ordine degli avvocati italiani. Non solo, essi sono anche in possesso di una seconda laurea in diritto canonico e di un ulteriore diploma di specializzazione triennale conseguito presso il Tribunale rotale. Si tratta quindi di professionisti che, oltre ad avere l’abilitazione richiesta per il patrocinio in Italia, possiedono anche conoscenze ulteriori che li rendono adatti al patrocinio in un ordinamento in cui è necessario conoscere il diritto canonico. Vi sono quindi tutte le premesse per avere piena fiducia nella serietà e nella competenza di chi deve garantire il corretto svolgimento di un processo che, per diverse ragioni, attira l’attenzione di molti.