In occasione della “felice ricorrenza” della conclusione del Concilio Vaticano II, il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha deciso di dedicare tutte le sue tre prediche d’Avvento alla Lumen Gentium, riservandosi di dedicare le meditazioni della prossima Quaresima ad altri importanti documenti conciliari.
Come sottolineato da Cantalamessa nella prima predica, pronunciata stamattina, del Vaticano II si è discusso quasi sempre “per le sue implicazioni dottrinali e pastorali”; ben più raramente “per i suoi contenuti strettamente spirituali”.
Nello specifico, la Lumen Gentium presenta tre temi degni di riflessione, quali “la Chiesa corpo e sposa di Cristo, l’appello universale alla santità e la dottrina sulla Santa Vergine”.
Il primo aspetto implica un’accettazione della Chiesa “per amore di Cristo” e non viceversa. “Anche una Chiesa sfigurata dal peccato di tanti suoi rappresentanti”, puntualizza il Predicatore della Casa Pontificia.
Fu l’allora cardinale Joseph Ratzinger a mettere in luce “l’intrinseco rapporto tra queste due immagini della Chiesa: la Chiesa è corpo di Cristo perché è sposa di Cristo”, richiamandosi all’immagine paolina “dell’unica carne che l’uomo e la donna formano unendosi in matrimonio (Ef 5, 29-32) e ancor più l’idea eucaristica dell’unico corpo che formano coloro che mangiano lo stesso pane” (cfr. 1Cor 10,17). Questa visione è ciò che più avvicina la Chiesa Cattolica a quella Ortodossa: “Senza la Chiesa e senza l’Eucaristia, Cristo non avrebbe ‘corpo’ nel mondo”.
La realizzazione dell’uomo nel Corpo della Chiesa avviene innanzitutto attraverso sacramenti, a partire dal Battesimo e dall’Eucaristia. Fu Henri de Lubac ad affermare che “l’Eucaristia fa la Chiesa”, assunto che, chiosa Cantalamessa, si declina anche a livello personale: “l’Eucaristia fa di ognuno di noi il corpo di Cristo, cioè Chiesa”.
È di nuovo Ratzinger a definire l’Eucaristia una “fusione delle esistenze” (quella dell’uomo e quella di Cristo), secondo un principio analogo a quello dell’assimilazione alimentare. Questa “fusione” non avviene “ipostaticamente, come nell’incarnazione, ma misticamente e realmente”.
Sempre sulla scorta dell’immagine della Chiesa sposa di Cristo e della fusione dei corpi dello sposo e della sposa , l’Eucaristia permette che “la carne incorruttibile e datrice di vita del Verbo incarnato” diventi anche la “carne dell’uomo”. Parimenti, “anche Cristo riceve “il nostro corpo e il nostro sangue”.
È proprio grazie alla “comunione sponsale della messa”, che Cristo, “da risorto” e “secondo lo Spirito”, vive tutte quelle esperienze e condizioni che nella sua esistenza terrena non ha provato: “essere sposato, essere donna, aver perso un figlio, essere malato, essere anziano, essere persona di colore”.
È come se Gesù ci dicesse: “Io ho fame di te, voglio vivere di te, per questo devo vivere in ogni tuo pensiero, in ogni tuo affetto, devo vivere della tua carne, del tuo sangue, della tua fatica quotidiana, devo cibarmi di te come tu ti cibi di me!”.
L’“umanità di Cristo” è motivo di “consolazione e stupore” ma, al tempo stesso, fonte di grande “responsabilità” per l’uomo: “Se i miei occhi sono diventati gli occhi di Cristo, la mia bocca quella di Cristo, quale motivo per non permettere al mio sguardo di indugiare su immagini lascive, alla mia lingua di non parlare contro il fratello, al mio corpo di servire come strumento di peccato”, spiega Cantalamessa.
Oltre alla dimensione “oggettiva” e “sacramentale” del nostro rapporto con Cristo e con la Chiesa, ve n’è una “soggettiva ed esistenziale” che si sostanzia nell’“incontro personale” con Cristo stesso. Tale concetto, ricorda il Predicatore, non era molto accettato nel pre-Concilio, in quanto taluni vi intravedevano delle “risonanze vagamente protestanti”; si preferiva, dunque, parlare di “incontro ecclesiale”.
L’“incontro con Cristo”, tuttavia, non è in contrapposizione all’incontro “sacramentale” con Lui ma implica, piuttosto, che si tratti di un incontro “liberamente deciso o ratificato, non puramente nominale, giuridico o abitudinario”.
Del resto, ai primordi del cristianesimo, si diventava membri della Chiesa “dopo una lunga iniziazione, il catecumenato” e ciò era “il frutto di una decisione personale, per giunta anche rischiosa per la possibilità del martirio”.
Con il tempo, tuttavia, il cristianesimo diventò religione “tollerata” e successivamente “favorita, quando non addirittura imposta”. Non si pone dunque più l’accento “sul modo con cui si diventa cristiani, cioè sul venire alla fede”, quanto piuttosto, “sulle esigenze morali della fede stessa, sul cambiamento dei costumi; in altre parole, sulla morale”.
La situazione era però “meno grave” rispetto ad oggi, poiché “con tutte le incoerenze che sappiamo, la famiglia, la scuola, la cultura e a poco a poco anche la società aiutavano, quasi spontaneamente, ad assorbire la fede”. Inoltre, in questo scenario, “erano nate forme di vita, come il monachesimo e poi i vari ordini religiosi, in cui il battesimo era vissuto in tutta la sua radicalità e la vita cristiana frutto di una decisione personale, spesso eroica”.
Oggi, la situazione è ribaltata ed urge una “nuova evangelizzazione” che determini “occasioni” affinché i nostri contemporanei possano prendere “quella decisione libera e matura che i cristiani prendevano all’inizio nel ricevere il battesimo e che facevano di essi dei cristiani reali e non solo nominali”.
A tal proposito Cantalamessa ricorda che, in alcuni paesi “a religione mista”, si è rivelata “di grande efficacia”, la proposta di “una specie di cammino catecumenale per il battesimo degli adulti”. Rimane però da affrontare il nodo, ben più problematico, della “massa dei cristiani già battezzati che vivono come cristiani puramente di nome e non di fatto, completamente estranei alla Chiesa e alla vita sacramentale”.
Una risposta a tale problematica è rappresentata dagli “innumerevoli movimenti ecclesiali, aggregazioni laicali e comunità parrocchiali rinnovate, apparse dopo il concilio”: tutte realtà che permettono “a tante persone adulte di fare una scelta personale per Cristo, di prendere sul serio il loro battesimo, di diventare soggetti attivi della Chiesa”.
Al termine della sua meditazione, padre Cantalamessa ritorna sull’interrogativo iniziale: “Cosa vuol dire incontrare e farsi incontrare personalmente da Gesù? Significa pronunciare la frase ‘Gesù è il Signore!’ come la pronunciavano Paolo e i primi cristiani, decidendo, cioè, con essa, per sempre, di tutta la propria vita”.
Gesù, infatti, “non è più un personaggio, ma una persona; non più qualcuno di cui si parla, ma qualcuno a cui e con cui si può parlare, perché risorto e vivo”; Egli non è una “memoria” ma una “presenza” ed è impossibile prendere alcuna “decisione di qualche importanza senza prima averla sottoposta a lui nella preghiera”.
È solo amando Cristo, dunque, che “avremo reso il miglior servizio alla Chiesa” e l’avremo resa feconda come Sposa che, in quanto tale, “genera nuovi figli unendosi per amore al suo Sposo”.