Cardinal Pietro Parolin

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Guerra santa o battaglia spirituale?

Il cardinale Parolin interviene al convegno per il ventennale della Conferenze di Helsinki

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All’indomani dell’attacco al cuore di Parigi “sembra prevalere come sola risposta la volontà di contrapporsi alla forza delle armi con gli stessi mezzi. Certo ogni Stato ha diritto alla sicurezza, anzi è sua finalità essenziale garantirla a quanti soggiornano sul suo territorio” ma “le azioni finalizzate a perseguire la sicurezza fuori dallo spazio sovrano di un Paese implicano il ricorso alle sedi decisionali presenti nella Comunità internazionale”.

Così il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin in occasione del convegno che si è concluso ieri a Villa Nazareth per la celebrazione dei 40 anni dalla Conferenza di Helsinki sulla sicurezza, i diritti umani e la cooperazione economica, scientifica, tecnica e ambientale. Nel 1975, ai tempi della cortina di ferro, il trattato fu firmato da ben 35 nazioni per regolamentarne i rapporti pacifici: quasi tutti gli stati europei comprese le due Germanie, la Santa Sede, il Principato di Monaco, gli Stati Uniti e il Canada.

Un evento epocale che “l’Europa non può dimenticare”, poiché quella storica firma “ha evitato al mondo intero lo spettro di un confronto militare, ideologico, religioso dall’esito incerto, sostituendo al conflitto un ‘modello’ per la vita internazionale ancora oggi valido”, ha aggiunto il porporato, che ha allargato la sua osservazione ai giorni che stiamo vivendo: “il quadro attuale” appare come “frutto di tendenze che hanno messo da parte la prevalenza di principi e regole comuni per far spazio ad un ritornante unilateralismo, anche se espresso attraverso decisioni collettive o strumenti dell’integrazione: una strada senza uscita” che potrà portare “ad una stabilità circoscritta, ad una ‘pace a pezzi’, che non basta”.

“Mai come adesso i temi politici sono intrecciati con quelli religiosi. Molti pensano che il conflitto sia esclusivamente religioso, ma i ragazzi che si fanno saltare in aria al grido di ‘Allah akbar’ hanno un’idea alquanto rozza della religione islamica: occorre dunque finanziare il piano del dialogo interreligioso, farlo uscire dall’area accademica cercando un’alleanza operativa con gli imam più moderati”, ha affermato la senatrice Emma Fattorini.

Occorre inoltre stare attenti ai termini, come ha accennato il filologo Carlo Ossola, perché è con le parole che si può scivolare a guerra di civiltà quando le lingue si affilano come le spade, è a parole che si invocano immagini false di Dio o si dà voce a fantasmi inesistenti: “Un’estrapolazione non significa nulla se non si recupera l’intera teologia islamica”, ha sottolineato a questo proposito anche lo storico Franco Cardini, che ha spiegato: “le tre religioni abramitiche hanno tanto in comune, credere in un solo Dio, aspettare il regno dei cieli, attendere la risurrezione della carne”.

La dimensione della guerra santa “nell’islam, nell’ebraismo e nel cristianesimo esiste solo a livello retorico e predicatorio: nelle Bolle papali non si parla mai di bellum sacrum”, ma semmai di iustum bellum (espressione malamente tradotta come ‘guerra giusta’): “la guerra non è mai santa, ma ci si santifica nella pratica delle virtù; nell’islam poco ci si sposta: jihad vuol dire ‘sforzo su una via che Dio apprezza’”.

“In questo momento però siamo alla resa dei conti” considerando che “il 10% del genere umano detiene il 90% delle ricchezze del pianeta”. È in questo contesto che occorre leggere il “ritorno selvaggio di ideologie profondamente stravolte” lontane da qualsiasi fede religiosa.

Per questo vanno superati quegli atteggiamenti che si limitano semplicemente “a cogliere il perché di un fatto bellico” o a “manifestare sdegno per determinati comportamenti”: sono “atti che producono «un effetto tranquillizzante sulle coscienze» mentre «il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate»”, ha ammonito il card. Parolin ricordando le parole forti del pontefice: “Quando papa Francesco parla delle “periferie” come sede dell’emarginazione e dello scarto non dà forse l’immagine di una minaccia alla sicurezza?”.

Quasi profetiche in questo le parole scritte nella Evangelii Gaudium: «Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice”.

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Maria Gabriella Filippi

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