Il primo e ovvio diritto di ogni minoranza nazionale è quello ad esistere. Il secondo è quello di conservare e sviluppare la propria cultura, compresa la propria lingua. Il terzo diritto è quello alla libertà religiosa, applicata ai singoli come alle comunità, che comporta la libertà di culto. Questo il richiamo di mons. Janusz Urbanczyk, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, nel suo intervento di giovedì scorso a Vienna al Meeting sulla protezione delle minoranze nazionali, a 25 anni dall’adozione del Documento di Copenaghen.
Mons. Urbanczyk – informa la Radio Vaticana – ha sottolineato la necessità di garantire alle minoranze nazionali anche una legittima libertà di scambio e di contatto con gruppi con comuni radici, anche se dislocati in altri Paesi. “Né la marginalizzazione né la violenza – ha detto – rappresentano il giusto percorso per creare condizioni di vera pace, giustizia e stabilità in una società”, tenendo presente le situazioni di sofferenza e di angoscia in cui si trovano alcune minoranze nazionali, che spesso sono all’origine di passiva rassegnazione o al contrario di disordini e ribellioni.
Urbanczyk ha poi ribadito due fondamentali principi: la dignità intrinseca di ogni essere umano, a prescindere dall’identità etnica, culturale, nazionale o religiosa, e il diritto ad una identità collettiva, nonché la pari dignità di ogni comunità, che sia o meno di maggioranza. Il prelato ha ricordato anche i doveri delle minoranza nazionali nei confronti delle società e degli Stati in cui vivono, come quello di lavorare e di promuovere la libertà e la dignità di ciascun membro della minoranza, anche nel caso decidesse di adottare la cultura di maggioranza.
Da Copenaghen ad oggi, ha proseguito, le società hanno compiuto grandi progressi, la protezione e la promozione dei diritti delle minoranze nazionali sono fattori essenziali per la democrazia, la pace, la giustizia e la stabilità degli Stati. Garantire quindi la partecipazione delle minoranze alla vita del Paese è un segnale di grande civiltà. Oggi, ha aggiunto, la sfida più importante è quella di assicurare una maggiore integrazione, nelle varie strutture della società, agli emarginati o alle minoranze escluse, come i nomadi.
La Santa Sede, quindi, si sente particolarmente vicina ai Rom e ai Sinti che da tempo hanno uno stabile rapporto con la Chiesa cattolica, come dimostrato dall’udienza di pochi giorni fa di Papa Francesco a un’ampia delegazione di Rom e Sinti provenienti da 30 Paesi. L’auspicio è che gli Stati dell’Osce proseguano nel cammino di garanzia alle minoranze nazionali del pieno godimento dei loro diritti.