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Dal Toso: "Disprezzo per ambiente e persone hanno origine comune: avidità"

Il segretario di Cor Unum interviene alla Camera dei Deputati al convegno Laudato Si’: teologia, scienza, destino dell’uomo e della Terra. Verso la Conferenza di Parigi sui mutamenti climatici

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Il rapporto della Chiesa con la res publica, il concetto di creazione e quello di ecologia umana, poi il rapporto tra uomo e ambiente, i disordini della natura. Su questi punti si è sviluppato il lungo discorso pronunciato ieri pomeriggio da mons. Giampiero Dal Toso, presso la Camera dei deputati, in occasione del convegno Laudato Si’: teologia, scienza, destino dell’uomo e della Terra. Verso la Conferenza di Parigi sui mutamenti climatici.

Proprio a partire dai temi dell’enciclica di Papa Francesco e dalle visioni che essa ispira, senza dimenticare i richiami alla dottrina sociale della Chiesa, il segretario del Pontificio Consiglio ‘Cor Unum’ ha illustrato le sfide che spettano al mondo di oggi, esprimendo anche “la preoccupazione per il bene dell’uomo nei suoi rapporti sociali”.

“La Chiesa per mandato di Cristo non ha il compito di gestire la cosa pubblica: altro è Dio e altro è Cesare”, ha chiarito subito Dal Toso. Tuttavia essa “si sente in dovere di esprimere un giudizio e un orientamento su ciò che riguarda la cosa pubblica, sia perché molti cittadini sono cristiani, sia perché alla Chiesa sta a cuore il bene dell’uomo”. 

E pur non essendoci nella dottrina sociale della Chiesa “elementi di metodo concreto di governo o di gestione”, essa suggerisce però “alcuni principi che possono aiutare la società a trovare il suo equilibrio”, ovvero la giustizia, che corregge tutti i rapporti sociali. Uno di questi principi è la creazione, che significa “che esiste un Dio che ha dato inizio all’universo ed ha iscritto in questo creato un ordine, una sapienza, una struttura interiore”.

Tale concetto è fondamentale – ha spiegato Dal Toso – perché “ci aiuta a tenere insieme sia l’uomo che l’ambiente. Ambedue provengono da Dio Creatore che ha fatto buone tutte le cose”. In virtù di tale assunto è da “rifiutare una impostazione che concede all’uomo un potere assoluto sull’ambiente che lo circonda”. Ed è da rifiutare anche quella visione che vede nell’uomo “il neo della creazione, quasi che l’ambiente abbia il suo senso in se stesso e che l’uomo sia semplicemente un elemento di disturbo o, peggio, di rovina”. Un riferimento quindi alle politiche antinataliste “imposte a volte come condizione per aiuti allo sviluppo”. 

Esiste dunque una “reciprocità” tra uomo e ambiente. “Non si tratta di due entità separate tra loro, ma in continua relazione di reciproco arricchimento o detrimento”, ha rimarcato il presule. “L’uomo si ciba diversamente a seconda dei climi in cui gli tocca di vivere. E a sua volta forgia l’ambiente circostante a seconda delle proprie necessità, in primo luogo quelle elementari di cibarsi  e di avere una casa”. 

È pur vero che ciò ha avuto un risvolto negativo, portando ad una industrializzazione selvaggia, ma anche a fenomeni di inquinamento, cambio climatico, surriscaldamento. “Ferire” l’ambiente naturale comporta “un ritorno negativo sull’uomo stesso”, ha rilevato il segretario di ‘Cor Unum’, sottolineando che “la grande sfida dei nostri giorni è che stiamo mettendo mano non più solamente all’ambiente, ma all’uomo stesso, a ciò che lo costituisce nella sua essenza, e forse non siamo consapevoli che questo potrà avere conseguenze drammatiche”. 

Perché “se è vero che tutto risponde ad un’unica sapienza, come la manomissione dell’ambiente ha generato la devastazione ambientale, così la manomissione dell’uomo può generare la devastazione umana”. Quindi “capiamo molto bene che la natura in senso di ambiente soffre per la nostra violenza”, ma al contempo  “fatichiamo a capire che la natura dell’uomo soffre quando viene manomessa in laboratorio o per decreto”.

In particolare, mons. Dal Toso si è soffermato a riflettere su due fenomeni: il disprezzo per l’ambiente, “che si manifesta nelle tante forme di utilizzo selvaggio delle risorse naturali con le conseguenti crisi ecologiche in nome del profitto a tutti i costi”; il disprezzo per la persona “che si manifesta in quella che Papa Francesco chiama ‘la cultura dello scarto’, in base alla quali intere popolazioni sono escluse dal benessere riservato a pochi e sono sfruttate per il benessere riservato a pochi”.  

Entrambi hanno una origine comune, che si chiama avidità, ha evidenziato il vescovo. L’avidità “porta all’accumulo di denaro e di beni” e “induce a sfruttare l’altra persona e l’ambiente per il proprio tornaconto personale”. Ciò si manifesta nelle grandi concentrazioni di potere e di denaro in ambito mondiale, ma si declina concretamente ai diversi livelli, anche più spiccioli, “nei quali per avidità si usa il potere per schiacciare l’altro e deturpare l’ambiente”. 

Di qui si introduce un ulteriore tema: “la violenza della natura che non dipende dalla violenza dell’uomo”. Quindi eruzioni vulcaniche, tsunami, cataclismi naturali che nel corso della storia hanno flagellato l’umanità. “Questi fatti ci fanno riflettere – ha osservato Dal Toso – la natura, oltre che fonte di vita, a volte può essere causa di morte”. Come esiste, infatti, “un disequilibrio nella persona”, esiste anche “un disequilibrio nell’ambiente, sul quale non abbiamo potere”. 

Lo scenario sembra del tutto negativo. “Noi leggiamo spesso i rapporti tra persone e con il creato, in termini di conflitto: sfruttare l’ambiente in maniera indiscriminata per il nostro benessere; togliere l’uomo dall’ambiente per preservarlo. Sembra che il nostro destino sia l’uno senza l’altro per poter sopravvivere”.  Ma non è così, e “il linguaggio del creato” lo dimostra, parlando di un “codice del darsi” che “è iscritto fin nell’intimo di ogni cellula della realtà creata” e che “per l’uomo si chiama amore”. E’ così – ha concluso Dal Toso – “perché Dio, che è amore, imprime la sua essenza nella realtà che Lui crea. Il creato parla di Dio”.

[S.C.]

 

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ZENIT Staff

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