Holy Mass celebrated by Cardinal Miloslav Vlk during the International Youth Congress of Esperanto in the St. Anthony the Great Church

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L’allargare delle mani da parte del sacerdote durante la Messa

Non ci sono specifiche limitazioni

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Nella sua rubrica di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e Decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde oggi alla domanda di un lettore negli Stati Uniti.

Un sacerdote del luogo, durante la Messa, allarga le sue mani fin quasi alla massima estensione possibile, con i gomiti ben al di fuori del corpo; la maggior parte degli altri sacerdoti mantiene invece i gomiti vicino al corpo. Esistono indicazioni ufficiali su questo gesto liturgico? — O.K., Dallas, Texas (USA)

A differenza delle rubriche della forma straordinaria del rito romano, le rubriche attuali non forniscono indicazioni dettagliate riguarda il significato dell’espressione “mani allargate”. Questo non significa che viene lasciato all’arbitrarietà, ma si presume che il sacerdote, attraverso la propria formazione e l’osservazione di altri sacerdoti, sappia cosa questa espressione significhi e come applicarla in accordo con la tradizione liturgica e la propria costituzione fisica.

La forma straordinaria è più specifica. Così un popolare cerimoniale descrive il gesto alla collètta: “Mentre [il sacerdote] dice ‘Oremus‘ egli allarga le mani e le ricongiunge di nuovo, e inchina la propria testa al messale. Quindi legge la collètta, tenendo le mani sollevate – ma senza eccedere dall’altezza e la larghezza delle spalle – e allargate, con le dita unite, e inchinandosi verso il messale quando si giunge al nome del santo in onore del quale si celebra la Messa. Quando dice ‘Per Dominum nostrum‘ etc., ricongiunge le mani.”

Anche se un sacerdote che celebra la forma ordinaria non è tenuto ad osservare queste precise indicazioni, direi che esse forniscono comunque una buona regola generale per capire cosa la Chiesa intende con “mani allargate” quando richiede ai sacerdoti di pregare in questo modo. Queste norme non sono state inventate infatti da qualche oscuro ufficiale della Curia, ma costituiscono la codificazione di un’usanza già esistente, sviluppatasi nel corso dei secoli.

Un sacerdote può senz’altro seguire la regola sopracitata. Tuttavia, come dopo il Concilio Vaticano II la liturgia ha evitato deliberatamente di descrivere in modo più preciso il gesto, è anche legittimo che il sacerdote allarghi le mani un po’ di più, se lo ritiene appropriato. Alcuni paramenti moderni richiedono ad esempio di allagare un po’ di più le mani rispetto alla tradizionale pianeta romana. La regola sopracitata, tuttavia, mette in guardia da una gestualità esagerata che tenderebbe a concentrare l’attenzione sul celebrante anziché sulla preghiera che sta recitando.

Il gesto di allargare e sollevare le mani in preghiera è in qualche modo presente in quasi tutte le religioni. Nella Bibbia abbiamo l’esempio di Mosé durante la battaglia contro Amalech (Esodo 17,11-12), così come riferimenti nei Salmi e nei Profeti. Così Isaia dichiara a Israele: ” Quando allargherai le tue mani, io chiuderò i miei occhi davanti a te; / Per quanto tu pregherai, io non ascolterò. Le tue mani sono piene di sangue!” (1,15).

Questi gesti si riscontrano anche nel Nuovo Testamento e presso i primi cristiani che pregavano con le mani sollevate. In questo caso vi sia in aggiunta anche il significato di essere uniti a Cristo che allargò le proprie braccia sulla croce. Sembra che all’inizio la pratica fosse di estendere all’infuori sia mani che braccia per richiamare la forma della croce. Per questo l’autore paleocristiano Tertulliano scrive: “Ma noi non solo le [le mani] solleviamo, ma le allarghiamo anche, modellandole secondo la Passione del Signore, e, mentre preghiamo, noi riconosciamo Cristo” (De Oratione, 14). Tuttavia, lo stesso autore mette in guardia da una gestualità esagerata: “Mentre preghiamo con modestia e umiltà dovremmo raccomandare le nostre preghiere a Dio, così come le nostre mani non devono essere sollevate troppo in alto, ma essere sollevate con moderazione e decoro, come nemmeno il nostro viso deve essere rivolto in alto con superbia” (De Oratione, 17).

Esistono anche molte immagini nelle catacombe e in altri luoghi che mostrano come i primi cristiani compivano questo gesto. A volte rappresentano figure bibliche come Daniele o Susanna oppure una figura femminile, che alcuni studiosi credono rappresenti le anime di coloro che sono sepolti nelle catacombe, che intercede per i vivi.

Anche se non è certo, è probabile che i primi cristiani usassero questa postura per la preghiera sia pubblica sia privata. Con il passare del tempo, tuttavia, divenne una postura esclusiva dei sacerdoti, almeno nel contesto della liturgia. Forse l’usanza è sparita in virtù di considerazioni pratiche, poiché man mano che il numero di cristiani aumentava, le chiese diventavano sempre più affollate, e c’era sempre meno spazio per compiere questo gesto.

Anche il gesto del sacerdote di stendere all’infuori le braccia nella forma di una croce in alcuni momenti della Messa, si è ridotto nel tempo, nonostante perduri in alcuni ordini religiosi come carmelitani e domenicani. In generale è durante il Medioevo che questo gesto diventò simile alla pratica attuale. Il Micrologus, scritto nell’XI secolo, dice ad esempio: “Noi allarghiamo le nostre braccia alla collètta e durante l’intera Preghiera eucaristica, ma solo per l’ampiezza del busto, in maniera che i palmi delle mani si trovino l’uno di fronte all’altro. Le dita sono unite, e le loro punte non devono né essere più alte delle spalle né eccedere la loro ampiezza, e ciò va rispettato quandunque le mani vadano allargate davanti al petto. Nell’assumere questa posizione, il sacerdote nella sua persona mostra il Nostro Signore sulla Croce.”

San Tommaso d’Aquino dice inoltre che “le azioni compiute dai sacerdoti durante la Messa non sono gesti ridicoli, dal momento che esse vengono compiute per rappresentare qualcosa d’altro.  Il sacerdote che allarga le sue braccia rappresenta lo stendere le braccia di Cristo sulla Croce. Egli solleva anche le sue mani quando prega, per sottolineare che la sua preghiera viene rivolta a Dio per la gente, in accordo con le Lamentazioni (3,41): ‘Lascia che solleviamo i nostri cuori insieme alle nostre mani verso il Signore che è nei cieli'” (III, q. 83, a. 5).

Possiamo quindi constatare che abbastanza presto il gesto venne riservato ai sacerdoti, almeno nel contesto della liturgia, e si trasformò nel quasi austero gesto che conosciamo oggi. E’ con questo spirito che si dovrebbe compiere questo gesto nel contesto liturgico. I fedeli possono usare questo gesto al di fuori della liturgia per la preghiera privata, per la preghiera di gruppo, e, nei Paesi in cui è stato approvato, durante la recitazione del Padre Nostro durante la Messa.

Alcuni studiosi di liturgia credono che quest’ultima pratica costituisca un’anomalia. Essa sarebbe infatti l’unica occasione in cui un sacerdote allarga le braccia insieme ai fedeli. In tutte le altre occasioni in cui allarga le mani, il sacerdote prega da solo a nome di tutti i fedeli. Infatti quando il Padre Nostro viene recitato durante la Liturgia delle Ore il sacerdote tiene le proprie mani giunte, e non allargate. Questi studiosi ritengono che l’allargare le mani del sacerdote durante la Messa sia frutto di una svista di una rubrica del 1958, quando papa Pio XII acconsentì la recitazione del Padre Nostro da parte dei fedeli, in latino, e non solamente dal sacerdote come era stato sino ad allora. Sarebbe stato quindi logico per il sacerdote allargare le proprie mani prima di questo cambiamento, ma non dopo. Essi raccomandano quindi una modifica delle rubriche in modo che il sacerdote, e i fedeli, preghino con le mani giunte.

Altri sostengono che il Padre Nostro, essendo la preghiera del Signore, debba costituire un caso a parte. Per il momento questo rimane un dibattico tecnico; le rubriche specificano che il sacerdote e i concelebranti pregano con le mani allargate
.

Infine, vorrei rendere pubblico il mio debito verso l’articolo di Joseph F. Wagner — scritto nel 1926 per la Homiletic & Pastoral Review e oggi disponibile online all’indirizzo CatholicCulture.org — circa alcune delle informazioni storiche citate in questo articolo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Maria Irene De Maeyer]

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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.

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Fr. Edward McNamara

Padre Edward McNamara, L.C., è professore di Teologia e direttore spirituale

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