“Ogni cristiano deve avere un animo di ebreo se vuole vivere la propria fede e comprendere la Scrittura; gli ebrei sono i nostri fratelli maggiori; il cristianesimo non è comprensibile se non viene letto nella storia dell’ebraismo”. Lo ha detto il cardinale Velasio De Paolis intervenendo giovedì 22 ottobre, a Roma, nel corso del Simposio internazionale sul tema “Le radici ebraiche del Cristianesimo”.
Organizzato dalla Liamar Edition, insieme al presidente emerito della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede, al Simposio hanno partecipato in qualità di relatori il teologo Yuval Lapide,figlio del famoso Pinchas, storico e diplomatico israeliano. Gary Krupp, presidente della “Pave the Way Foundation” e Monsignor Bernard Ardura, O. Praem. Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche.
Nel suo intervento il cardinale De Paolis ha spiegato che “dalla storia degli inizi appare più che evidente che il cristianesimo è fiorito dall’albero dell’ebraismo. I primi discepoli di Gesù Cristo erano semplicemente dei credenti ebrei, che, rimanendo tali, hanno visto in Gesù Cristo il compimento delle profezie e delle attese messianiche del popolo ebraico. Per il resto continuavano a sentirsi ebrei, legati alla legge mosaica e alla pratica del tempio”.
“I primi credenti – ha sottolineato il porporato – furono soprattutto ebrei e lo stile di vita dei primi cristiani non era visto in opposizione agli ebrei, tanto che forse presso le autorità imperiali i cristiani venivano identificati semplicemente con gli ebrei, sia pure con qualche caratteristica propria. Solo più tardi, – ha aggiunto – quando i pagani entrarono in massa e vennero a costituire la maggioranza nella nuova religione, si pose il problema della relazione tra ebraismo e cristianesimo”.
Dopo aver dimostrato come la continuità tra ebraismo e cristianesimo sia parte del mistero, De Paolis ha spiegato che “mentre il dialogo procede, la parte cattolica continua a comprendere sempre di più che, se non si interagisce con l’eredità ebraica della Chiesa, si indebolisce la fede e si scardina ciò che è essenziale per l’identità cristiana”.
A tal proposito ha scritto il Jean Marie Lustiger: “Diventando cristiano, non ho inteso cessare l’essere ebreo che ero allora. Non fuggivo da una condizione ebraica. L’ho ricevuta dai miei genitori e non la posso perdere. L’ho ricevuta da Dio, ed egli non me la farà perdere mai”. Il teologo Yuval Lapide, ha raccontato invece del libro “Tre Papi e gli ebrei” (1967) scritto da sua padre Pinchas, in cui si attesta che su 1.300.000 ebrei scampati alla Shoah, da 700.000 a 860.000 furono salvati ad opera della Chiesa Cattolica.
Gary Krupp, della Pave the Way Foundation ha riportato molte delle testimonianze di cristiani che hanno rischiato e perso la vita pur di salvare gli ebrei dall’Olocausto. E mons. Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, ha riportato in dettaglio le vicende di mons. Jules-Géraud Saliège e mons. Pierre-Marie Théas che nella Francia della Seconda Guerra mondiale salvarono centinaia di ebrei.
La serata ai è conclusa con la proiezione del film di Liana Marabini “Shades of Truth” in cui si racconta di un giornalista ebreo che nutre molti pregiudizi nei confronti del Pontefice Pio XII, per poi scoprire che la sua famiglia fu salvata proprio da quel Papa.