Sono tornate per due mesi sui banchi di scuola per prepararsi con competenza ed umiltà ad elaborare risposte durature per i migranti. Tra le materie di studio, italiano, formazione del gruppo, accoglienza delle differenze, problematiche dell’immigrazione a livello mondiale ed europeo, realtà storica sociale ed ecclesiale della Sicilia.
In cattedra, tra gli altri, Centro Astalli e Caritas. Dieci donne – una argentina, una congolese, due eritree, una etiope, due indiane e 3 europee – saranno, in due comunità da 5 ciascuna, ad Agrigento e Caltagirone dai primi di dicembre, per tessere una rete, relazionale e sociale che veda, locali e migranti, soggetti attivi e protagonisti del processo di integrazione.
L’obiettivo infatti non è fermarsi ad una prima accoglienza ma comprendere nel profondo i bisogni dei migranti e tentare di offrire con le rispettive diocesi risposte efficaci e durature, presidiando la dignità delle persone per una piena inclusione.
L’iniziativa, targata UISG – Unione Internazionale delle Superiore Generali – è stata ipotizzata nell’ottobre 2013, come spiega Suor Elisabetta Flick, responsabile del progetto: “È maturata a seguito del naufragio del 3 ottobre a Lampedusa dove persero la vita 200 migranti e del conseguente forte appello di Papa Francesco. Due religiose della commissione Giustizia e Pace delle Unioni Superiori Generali maschili e femminili hanno così chiesto al Comitato esecutivo della UISG di dare una risposta al dramma. La richiesta delle due suore ha coinciso con la ricerca che le responsabili dell’ Unione stavano portando avanti, nel desiderio di porre un nuovo gesto concreto di solidarietà, in occasione del 50esimo di fondazione della UISG stessa. È stato dato quindi il via alla ricerca con la costituzione di un team “intercongregazionale”. La risposta è stata formidabile!”.
Quali sono i tratti essenziali del progetto?
È un progetto sulla strada, in un certo senso itinerante, che desidera lavorare sul territorio, in dialogo con le diocesi in cui opera, per essere ponte tra la popolazione locale e le persone straniere che arrivano. Dopo la prima accoglienza occorre lavorare per un’integrazione progressiva delle persone che arrivano, creando dialogo ed un tessuto di relazioni umane, informali.
Dove concretamente saranno operative?
La comunità sarà suddivisa in due equipe di 4/5 religiose ciascuna, che si stabiliranno nella Diocesi di Agrigento e in quella di Caltagirone, per ora.
Da quali religiose saranno formate?
Le 10 suore appartengono a diverse spiritualità, carismi e congregazioni: una è orionina e proviene dall’ Argentina, una dalla Repubblica democratica del Congo e appartiene alle suore di Nostra Signora d’Africa, 2 sono Eritree delle Cappuccine di Madre Rubatto e delle Figlie di di Sant’Anna, una ancora è Etiope delle Francescane Missionarie di Maria, 2 sono indiane, Suore della Carità della Croce. Tre infine europee, una italiana, una francese, la terza polacca tutte della Società del Sacro Cuore. Le stesse comunità che si andranno a creare vogliono essere segno che è possibile vivere insieme nella diversità. Le religiose poi sono straniere, avendo lasciato il proprio paese, e questo può essere di aiuto per entrare in empatia con i migranti.
Quali servizi offriranno?
Ascolto, sostegno accompagnamento delle persone. Non si parte con un progetto già predefinito, ma in base alla realtà del territorio in cui il gruppo si troverà, dopo un periodo di attento rilevamento dei bisogni, in dialogo con le rispettive diocesi si valuterà il tipo di servizio che sarà possibile offrire, in base anche alle competenze delle religiose.
Quali i punti di forza del progetto e di criticità?
Innanzitutto la Provvidenza! Convinzione che se Dio vuole che il progetto si realizzi, questo si realizzerà nonostante le difficoltà che inevitabilmente incontreremo. La forte motivazione nelle religiose e il sostegno degli Istituti di appartenenza, il buon dialogo con le diocesi e con la vita religiosa locale. Entreremo in punta di piedi, con cuore, occhi e orecchi aperti per metterci in ascolto della realtà, conoscerla e individuare i passi da fare.
Il non avere un progetto definito a priori, può essere avvertito da qualcuno come un punto di debolezza. Per noi è soprattutto disponibilità a cogliere i bisogni reali della realtà. La provvisorietà ed una certa precarietà sono un invito a “fare come se tutto dipendesse da noi, ed attenderlo come un dono”.
La sfida è grande, non possiamo dare per scontato a priori la possibilità di tenuta della comunità né delle singole persone, la precarietà economica e la difficoltà ad avere eventualmente delle attività apostoliche retribuite.
Saranno in rete anche a livello locale con altre realtà?
È indispensabile per un buon inserimento e per avviare laddove sarà possibile dialogo e collaborazione.
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Fonte: www.altrodadire.org