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Armin Wegner, un "giusto" che tentò di fermare le barbarie

Presentato al Tempio di Adriano, a Roma, il libro “Lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i genocidi del Novecento”

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Intellettuale e scrittore tedesco, nonché ufficiale paramedico dell’esercito teutonico in Turchia, durante la prima guerra mondiale, raccolse fondamentali testimonianze sul Genocidio armeno e, negli anni Trenta all’alba del Terzo Reich, scrisse personalmente al führer, invitandolo a interrompere le persecuzioni contro gli ebrei.

Si tratta di Armin Theophil Wegner, a cui il giornalista e storico milanese Gabriele Nissim ha dedicato il libro La lettera a Hitler (ed. Mondadori), presentato a Roma presso la sala conferenze del Tempio di Adriano a Piazza di Pietra.

All’evento, oltre all’autore, hanno partecipato Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, l’ambasciatore armeno in Italia Sargis Ghazaryan, il giornalista del Corriere della Sera e scrittore Gian Antonio Stella, Mischa Wegner, figlio di Armin, Wlodek Goldkorn, giornalista polacco dell’Espresso, e Stefan Schneider, consigliere culturale presso l’Ambasciata di Germania. La presentazione è stata moderata dalla giornalista Viviana Kasam e arricchita dalle letture di brani del libro da parte dell’attrice Manuela Kustermann.

Wegner è definito da Nissim (presidente dell’associazione Gariwo, finalizzata alla scoperta e all’approfondimento delle storie dei giusti che si opposero ai genocidi) “combattente solitario contro i genocidi del Novecento” e, per il suo impegno, fu riconosciuto giusto fra le nazioni da Israele, nel 1967, e giusto fra gli armeni nel 1990. Come ricordato da Gattegna nel suo intervento, “scrisse anche a Mussolini per cercare di fermare la sua politica antisemita”. Dopo aver più volte denunciato le discriminazioni razziali in Germania, fu internato nei campi di concentramento nazisti da cui fu rilasciato nel 1939. A quel punto fuggì in esilio in Italia. “Successivamente si avvicinò al comunismo – ha sottolineato Gattegna – ma se ne allontanò inorridito dai crimini dello stalinismo”.

Wegner può essere considerato un eroe ma, come evidenziato da Goldkorn “non era una persona pura, bensì piena di contraddizioni, a volte anche vile e opportunista. Gli eroi sono sempre persone comuni con i loro difetti. Penso a personaggi come Giorgio Perlasca e Oskar Schindler”. Non era ebreo ma sposò, in prime nozze, una donna di religione ebraica, la scrittrice Lola Landau.

All’avvento del nazismo, Armin stava scrivendo un romanzo sul Genocidio armeno e, come ha ricordato Gabriele Nissim, “capì davvero quello che stava accadendo quando vide la figlia perseguitata a scuola. A quel punto decise di scrivere la lettera a Hitler per salvare l’onore della Germania”. “Mio padre nasce come scrittore e poeta – ha sottolineato un commosso Mischa Wegner – non è nato eroe, ma lo è diventato a causa degli eventi. Era un uomo dalla grandissima personalità, ma portò sempre con sé il ricordo di quanto aveva visto e subito. Fino alla vecchiaia soffrì di incubi e fu sempre tormentato dal rimorso di aver fallito come intellettuale per non essere riuscito a impedire l’affermazione dell’antisemitismo nella Germania di Hitler”.

Ricordare la figura di Armin Wegner è ancora più importante nell’anno del centenario del Genocidio armeno e in un momento in cui i drammi del Medio Oriente fanno pensare che ancora una volta la storia possa ripetersi. “Dai resoconti di Wegner – ha dichiarato l’ambasciatore Ghazaryan – emerge poderosamente un qualcosa di estremamente moderno. Una prova, a posteriori, del fallimento di chi è sopravvissuto ai genocidi del Novecento perché i crimini contro l’umanità non sono relegati esclusivamente nei manuali di storia, ma fanno parte dell’attualità e della cronaca. È  importante la memoria e deve essere alimentata non tanto nelle aule dei tribunali, ma in quelle delle scuole e delle università perché solo lì si creano gli anticorpi contro queste tragedie. Nel caso armeno si pratica ancora un negazionismo di Stato quando ormai, in Turchia, la parte più progressista della società civile chiede al governo di fare i conti con il passato. L’intera opera di Armin Wegner ricorda come la responsabilità di noi ebrei e armeni sopravvissuti ai genocidi sia di riempire quel vuoto che si fonda sull’indifferenza”.

Quello che la Turchia ancora non ha fatto è invece riuscito, dopo un processo lento e difficile, alla Germania, come evidenziato da Schneider nel suo intervento: “Dopo la seconda guerra mondiale la società tedesca era più rivolta verso il futuro, alla riconquista del benessere. Molti non erano ancora pronti ad affrontare il senso di colpa. Dopo i processi contro i criminali nazisti, la maggioranza dei tedeschi tendeva ancora ad attribuire le responsabilità solo a un gruppo ristretto di fanatici. Una vera e profonda riflessione è partita solo con gli anni Sessanta. Un processo che è andato in porto lentamente ma che ha permesso al presidente israeliano Shimon Peres di parlare di profonda amicizia fra Israele e Germania. E il presidente della Repubblica di Germania Joachim Gauck ha dichiarato che non esiste identità tedesca senza la memoria della Shoah”.

Insomma La lettera a Hitler è un libro che merita di essere letto perché, come ha commentato Gian Antonio Stella, “le storie dei buoni che vincono piacciono, anche se Wegner non ha vinto subito. E poi perché Armin ha avuto una vita molto avventurosa e una parabola umana formidabile che dimostra come ci sia stato qualcuno che, in quegli anni terribili, ha provato a salvare l’onore della Germania. Certo e per fortuna non fu l’unico”.

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Alessandro de Vecchi

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