Le comunità cattoliche della Turchia si riuniscono “nel silenzio e nella preghiera” per reagire alla strage di Ankara di sabato scorso, dove hanno perso la vita 97 persone che partecipavano ad una manifestazione di pace.
“Domenica abbiamo radunato le comunità nelle diverse chiese e abbiamo pregato e offerto le Messe per le vittime, i loro familiari, i feriti e tutte le persone colpite da questo orrendo gesto – dice padre Ruben Tierrablanca, della Fraternità internazionale dei frati minori di Istanbul – e ieri abbiamo celebrato una Messa per la pace”.
“La Turchia – aggiunge il religioso – è sconvolta e ha paura. In vista delle elezioni del 1° novembre, molti si chiedono cos’altro potrà mai accadere, quindi dobbiamo vigilare. La preoccupazione del popolo è evidente. Da parte nostra non sappiamo cosa dire. In questi momenti solo il silenzio e la preghiera possono confortare. Siamo vicini a tutti e cerchiamo di dare il nostro conforto tra i nostri amici turchi”.
Qui in Anatolia, riferisce l’agenzia Sir, il parroco, padre Domenico Bertogli, “parla di situazione complicata. Tutti si chiedono cosa stia succedendo. La popolazione è preoccupata e noi cerchiamo di dare un po’ di consolazione”. Domenica, racconta il parroco, “ci siamo ritrovati a Istanbul con le Comunità Neocatecumenali, eravamo oltre 160 persone, tutti fedeli locali, e abbiamo pregato per le vittime”.
Ma non tutti hanno reagito così: migliaia di turchi, intellettuali e non solo, sono scesi in piazza per manifestare contro lo “Stato assassino” e accusare il presidente Erdogan di aver fomentato la violenza per recuperare consensi in vista delle elezioni anticipate del 1° novembre. Proclamato anche lo sciopero generale tra ieri e oggi.
Ad alimentare la tensione, nel pomeriggio di ieri, un allarme bomba ha costretto alla chiusura una linea della metro di Ankara.
Intanto, a 48 ore dalla strage, si continua a inseguire la pista dello Stato Islamico, come dichiarato dalle autorità turche, che hanno confermato che si è trattato di un “attacco suicida” di due kamikaze uomini. In particolare si indaga su ipotetici legami con la cellula jihadista nella provincia orientale di Adiyaman e con l’attentato del 20 luglio a Suruc, che uccise 33 attivisti filo-curdi. Da parte sua, il premier turco Davutoglu respinge le accuse di falle alla sicurezza, anche se promette indagini in merito. “Hanno cercato di influenzare le elezioni, ma non trasformeranno la Turchia nella Siria”, ha affermato.