La festa della Beata Vergine del Rosario, che si celebra oggi, si regge su una colonna portante storica che testimonia la poderosa efficacia della recita delle preghiere a Maria. Fu istituita da papa Pio V nel 1572 con il nome di Madonna della Vittoria, a perenne ricordo della battaglia di Lepanto. Questo sanguinoso duello navale culminò esattamente un anno prima, il 7 ottobre 1571, con la sconfitta dell’Impero Ottomano da parte della Lega Santa, le cui armate erano state affidate dallo stesso Papa a Maria Santissima.
Il merito della vittoria, la quale salvò l’Europa e la Cristianità dalla minaccia espansionistica degli ottomani, fu dunque attribuito fin da subito alla protezione di Maria, che i cristiani – Pio V in testa – avevano invocato recitando il Rosario.
Ma la battaglia di Lepanto è solo il simbolo storicamente più rappresentativo di una realtà che ricorre nei secoli: l’intervento prodigioso di Maria nel corso degli eventi e nella vita degli uomini. Se a Lepanto il Rosario fu l’arma che si frappose tra l’anelito imperialistico dei musulmani e l’Europa, in tante altre occasioni il Rosario è stato il grimaldello che ha convertito cuori inariditi e ha condotto alla salvezza persone che peregrinavano sulla via della perdizione.
È il caso di Bartolo Longo. Nato a Latiano, in Puglia, nel 1841, condusse un’infanzia agiata e studiò presso prestigiose scuole cristiane. Fu educato ai valori della preghiera e della fede, fin quando l’ebbrezza dell’emancipazione dalla famiglia e dalla vita di paese non lo spinse a rincorrere pericolose chimere.
Finito il liceo, si trasferì dapprima a Lecce e poi a Napoli, dove andò a studiare giurisprudenza. Erano gli anni delle Guerre d’Indipendenza, il cui impeto idealistico andava contagiando gli animi vivaci di tanti giovani italiani. Si diffondevano, specie nelle università e nei circoli intellettuali, le idee illuministe e il livore verso la Chiesa, considerata una cappa di oscurantismo che soffocava i sogni di libertà.
Le mode culturali del momento non risparmiarono il giovane Longo. Originario di un’Italia ancora saldamente radicata sulla fede e sui valori della tradizione, fu per lui irresistibile il fascino esercitato da una città come Napoli, propulsore di idee nuove ed esuberanti, prefigurazione di un cambiamento culturale che avrebbe dato linfa a un Paese culturalmente troppo arretrato.
L’inganno lo portò fin nei circoli più chiusi ed elitari della città campana. Scese nei meandri del sottobosco massonico, dove coltivò un sempre maggiore interesse nei confronti dello spiritismo. Le frequentazioni di intellettuali anticlericali, nonché l’accesso alle pratiche magiche e alle conoscenze esoteriche, gli sembravano il modo più di tendenza per affrancarsi dall’abito provinciale che aveva indossato fino a quel momento.
Egli stesso racconterà che fu talmente fagocitato da questi ambienti da diventare un vero e proprio “sacerdote di satana”. Ben presto l’euforia fu surclassata da sentimenti di scoramento che lo fecero scivolare in una fortissima forma di depressione e fu più volte sull’orlo del suicidio.
Disperato, cercò qualcosa che potesse lenire la sua angoscia intima. Ne parlò con un professore suo amico, Vincenzo Pepe, pugliese come lui, il quale non gli risparmiò rimproveri e l’invito ad allontanarsi da certi ambienti. “Se continui con queste pratiche, finirai in manicomio!”, gli andava ripentendo. E lo inviò inoltre da padre Alberto Radente, convinto che questo domenicano, esperto direttore spirituale, sarebbe riuscito ad aiutare Bartolo Longo a dipanare il buio della sua anima.
Dopo una serie di incontri con questo sacerdote, il giovane Longo si fece confessare e iniziò un percorso di cambiamento. Era ancora oppresso dai cattivi pensieri, ma stava attendendo un’esperienza straordinaria che potesse offrirgli una svolta.
Un giorno, mentre vagava in preda alla disperazione nella Valle di Pompei, fu come rischiarato da una frase che gli ripeteva spesso padre Radente: “Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria”. E subito dopo sentì l’eco di una campana lontana. A quel punto alzò le braccia al cielo e gridò: “Se è vero che Tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario!”.
Nelle settimane successive, una serie di eventi indicarono a Longo che la sua supplica sarebbe stata esaudita. Strinse un rapporto con la contessa De Fusco, dei cui beni – tra cui la Valle di Pompei – era divenuto amministratore. Iniziò a frequentare i gruppi di preghiera al Sacro Cuore di Gesù che la contessa guidava, fino a diventare di lei stretto collaboratore e poi anche marito.
I due coniugi decisero insieme di trasformare la Valle di Pompei, povera e dimenticata, in un epicentro della devozione al Santo Rosario. Scelsero una vecchia chiesa del posto, dove situarono un quadro della Madonna del Rosario donato loro da una suora domenicana amica di padre Radente. Quel quadro è oggi conosciuto in tutto il mondo come l’icona della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, che sorge all’interno di quello che è diventato un Santuario tra i più conosciuti e frequentati da tutto l’orbe cattolico. Il tutto, grazie all’impegno della contessa De Fusco e di suo marito Bartolo Longo.
Quest’ultimo è inoltre autore della Supplica alla Madonna di Pompei, scritta nel 1883, bicentenario di un’altra vittoria militare fondamentale per la salvezza dell’Europa e della Cristianità, quella della Lega Santa sui turchi a Vienna (1683). Prima di morire, il 5 ottobre 1926, mese mariano, Bartolo Longo sospirò: “Il mio unico desiderio è quello di vedere Maria, che mi ha salvato e mi salverà dalle grinfie di Satana”. Il 26 ottobre 1980, Giovanni Paolo II lo ha beatificato.