La nostalgia di Dio, tema peraltro caro a Santa Teresina di Lisieux, di cui oggi si festeggia la memoria liturgica, è stato il tema al centro dell’omelia di papa Francesco di stamattina. È quanto prova il popolo di Israele durante i suoi anni a Babilonia.
Il giorno del ritorno e della ricostruzione di Gerusalemme (cfr. Ne 8,1-4a.5-6.7b-12), il popolo “era gioioso ma piangeva, e sentiva la Parola di Dio; aveva gioia, ma anche pianto, tutto insieme”, poiché, aveva ritrovato la propria città, quindi la propria “identità”.
Un’identità che ci viene data dal Signore e che è fonte di “gioia”, pur perdendosi talora “nel cammino”, in “tante deportazioni o autodeportazioni nostre, quando facciamo un nido qua, un nido là” ma “non nella casa del Signore”, ha proseguito il Santo Padre.
La perdita delle proprie radici, della propria identità, della propria casa arreca nostalgia e “questa nostalgia ti porta di nuovo a casa tua”, ha aggiunto. Ed è proprio questo moto dell’animo che spinge il popolo alle lacrime.
“Se noi – ha detto il Papa a mo’ di esempio – siamo pieni di cibo, non abbiamo fame. Se noi siamo comodi, tranquilli dove stiamo, non abbiamo bisogno di andare altrove”.
È invece la nostalgia che spinge a mettersi in moto nel fisico e nell’animo. Un cuore che non prova questo sentimento “non conosce la gioia”, eppure è proprio la gioia, in particolare la “gioia di Dio” ad essere “la nostra forza”. E così, un “cammino che è incominciato da anni finisce in una festa”.
Il popolo, quindi, esulta, poiché ha “compreso le parole che erano state loro proclamate”, trovando “quello che la nostalgia gli faceva sentire e andare avanti”.
Al termine della sua meditazione, il Pontefice ha posto la seguente domanda ai fedeli sulla nostalgia di Dio: “siamo contenti, stiamo felici così, o tutti i giorni abbiamo questo desiderio di andare avanti?”.
“Che il Signore ci dia questa grazia: che mai, mai, mai, si spenga nel nostro cuore la nostalgia di Dio”, ha poi concluso.