È sempre rischioso parlare di Cielo. Troppi pregiudizi e troppe contestazioni hanno alimentato, da sempre, il dubbio nei confronti della fede, delle verità fondamentali del nostro “Simbolo”, professate dalla Chiesa. L’aldilà è apparso, spesso, quasi una illusoria e pur consolante fantasia, fatta apposta per dimenticare il presente, per non affrontare una quotidianità pesante e impietosa.
Il destino dell’uomo sembra, a molti, inesorabilmente votato al “nulla eterno”, a restringersi negli angusti limiti di un tempo troppo breve e di uno spazio troppo stretto. Sembra che tutto ripiombi fatalmente in quelle tenebre da cui -chissà poi perché- siamo stati tratti un giorno. Larga parte della cultura viaggia oggi in quella direzione, osannando, da un lato, la presunta onnipotenza dell’uomo e riconoscendo –al tempo stesso- la sua disfatta, la sua totale incapacità di dare senso compiuto alle cose, al trascorrere della vita, allo spegnersi di quella insopprimibile scintilla di passione, di “genialità” e di amore che è ognuno di noi.
Ecco perché appare sempre più urgente e necessaria la meditazione sui “Novissimi”, che lapidariamente riassumono le verità essenziali sull’uomo. “Guarda la Stella, invoca Maria”, suggeriva con ardore San Bernardo, volendo indicarci la via per capire “qualcosa” in più dell’inestricabile mistero dell’Essere.
La Vergine Maria ci rassicura che il Cielo e la Terra non sono realtà inconciliabili e che la vita eterna non è una “favola”, inventata per addomesticare le coscienze. Ella ci conferma che il cammino dell’uomo è un ritorno alla Casa del Padre, che ogni passo è prezioso, che tutto quello che avremo legato quaggiù è in un misterioso -ma vero e profondo- rapporto con il Cielo.
Il Cielo e la Terra sono due aspetti complementari, due momenti, diversi, del medesimo abbraccio di Amore che avvolge teneramente il Creato. A Fatima le prime parole della Vergine furono proprio queste: “Vengo dal Cielo”, quasi ad attestare, in modo chiaro e inequivocabile, la assoluta verità del dogma che Pio XII avrebbe sancito il 1 novembre di 33 anni dopo, riprendendo una ininterrotta tradizione di devozione e di fede.
Nella liturgia di questa “ottava” mariana -che comprende la solennità dell’Assunta e la memoria di “Maria Regina”- ricorrono alcuni termini “chiave”, alcune preziose indicazioni: la speranza, la consolazione, la gloria.
L’Assunta è la più bella prova della fedeltà di Dio alle sue promesse. Gesù aveva detto ai discepoli: “Vado a prepararvi un posto”. Sua Madre, per prima, avrebbe poi varcato, nella totalità del suo essere -anima e corpo- la soglia oscura dell’Eterno, illuminando il nostro cammino e facilitando anche per noi l’incontro definitivo con il Padre. La Vergine è una Madre, che non desidera altro se non che tutti i suoi figli la raggiungano per sempre nella beatitudine celeste.
Speranza e consolazione si accompagnano, necessariamente, a una rinnovata consapevolezza delle nostre responsabilità. Di fronte alla diffusa indifferenza, al cinismo invadente e pervasivo, alla “privatizzazione” dei propri sogni, desideri e attese, la Madre di Dio ci invita a impegnare seriamente i giorni della vita e ad aprire il cuore agli altri, a interessarci del loro percorso, del loro destino terreno e soprannaturale.
Ci è richiesta una responsabilità nuova: che custodisca e alimenti la bellezza della vita e non la consacri al “nulla” imperante, alla insipienza del presente; che sappia far propri i bisogni del prossimo; che collabori a risanare le ferite e le ingiustizie del mondo con il balsamo del perdono; che offra, soprattutto ai nostri giovani, mete e prospettive diverse, rispetto al disimpegno, alla fuga nei paradisi artificiali della droga; della sessualità banalizzata e offesa; del bullismo e della violenza. La Vergine ci domanda di accogliere la realtà, di abbracciarla e di benedirla, sostenuti dalla Grazia.
Dice un antico testo: ”Quem foverat in gremio, locarat in Praesepio, nunc regem super omnia Patris videt in gloria”: Maria contempla ora Re, nella gloria del Padre, Colui che aveva custodito e nutrito nel suo seno e che aveva deposto nella mangiatoia. Una espressione semplicissima, che racchiude e rivela, in pochi tratti, l’ineffabile Grazia della Incarnazione e conferma la inscindibile continuità tra la Terra e il Cielo, tra le vie del mondo e i misteriosi sentieri dell’Eterno. Quel Gesù, accolto come figlio nella Casa di Nazareth, è il medesimo Re Eterno di Gloria, adorato dagli Angeli e dai Santi, che siede alla destra dell’Onnipotente e che verrà a giudicare il mondo. È il medesimo Gesù che sua Madre offre, ogni giorno, alla nostra meditazione e contemplazione, perché -come Lei- lo serviamo e lo amiamo in Terra, per goderlo eternamente, con Lei, in Cielo.