Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XXI domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 23 agosto 2015.
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Domenica XXI del Tempo Ordinario – Anno B – 23 agosto 2015
Rito Romano
Gs 24,1-2.15-17.18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
Rito Ambrosiano
2 Mac 7,1-2.20-41; Sal 16; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Domenica che precede il martirio di San Giovanni il Precursore.
1) Una domanda inquietante che scavalca i secoli.
L’insegnamento di Gesù sul pane di vita, che abbiamo ascoltato nelle ultime quattro domeniche ci ha comunicato la realtà stessa del grande amore di Dio per noi. Cristo ha parlato di un amore, che non è solamente parola. Si tratta di un Amore che va oltre ogni possibile attesa, oltre ogni nostra povera immaginazione. Il Salvatore è l’Amore che dà se stesso, che diventa parte della nostra stessa vita, anzi ci fa parte della Sua stessa Vita: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv 6, 54).
Questa proposta di un cibo d’amore, purtroppo, suscita una reazione negativa. Gesù non fu capito allora e da troppi non è capito neppure oggi. Oggi come allora, molti dicono: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla? … e “molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con Lui” (Gv 6,60.66).
La parola di Gesù non è “dura”1. È il nostro cuore che è duro, il mio cuore, perché spesso sa solo chiudersi e non vuole ascoltare. La parola del Signore è dolce più del miele (cfr Sal 119, 103). Essa non è neppure troppo difficile da accogliere e da mettere in pratica. Certo è un insegnamento esigente con il quale Cristo ci offre una vita felice, non facile. Dunque alla domanda fatta dal Salvatore con tenerezza, dolore e fermezza: “Volete forse andarvene anche voi?” (Gv 6,67), rispondiamo con prontezza: “Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita vera”, quindi felice.
In effetti, questa domanda di Cristo scavalca i secoli e giunge fino a noi, ci interpella personalmente e sollecita una decisione. Ma se stiamo meditando questo brano del Vangelo è perché ci riconosciamo nell’affermazione dell’apostolo Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68). Di parole intorno a noi ne risuonano tante, ma soltanto Cristo ha parole che resistono all’usura del tempo, che spiegano la vita e che restano per l’eternità.
Come ha fatto San Pietro, dunque, aderiamo alle parole di Cristo senza riserve né esitazioni di qualsiasi tipo.
Come San Pietro rispondiamo al Messia con parole che esprimono la nostra fede di discepoli: “Tu solo hai parole di verità”, perché riconosciamo con fede che Lui è l’unico salvatore, l’unico che rende la salvezza di Dio presente in mezzo a noi.
Come San Pietro siamo certo consapevoli della nostra umana fragilità e come questo Apostolo anche noi possiamo ripetere la sua risposta, fiduciosi nella potenza dello Spirito Santo, che si esprime e si manifesta nella comunione con Gesù. La fede è dono di Dio all’uomo ed è, al tempo stesso, libero e totale affidamento dell’uomo a Dio; la fede è docile ascolto della parola del Signore, che è “lampada” per i nostri passi e “luce” sul nostro cammino (cfr Sal 119, 105).
A questa inquietante provocazione che ci risuona nel cuore, ciascuno di noi deve dare a Gesù una risposta personale. Il Messia, infatti, non si accontenta di un’appartenenza superficiale e formale. Non Gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione. Occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita “al suo pensare e al suo volere”. SeguirLo riempie il cuore di felicità e dà senso pieno alla nostra esistenza. ma comporta fatiche, rinunce e difficoltà, perché molto spesso si deve andare controcorrente.
2) Parole di Vita che fanno viva la vita.
La risposta di San Pietro alla domanda di Gesù “Volete andarvene anche voi?” non termina con l’espressione “Tu solo hai parole di vita eterna”. Il Capo degli Apostoli, parlando a nome degli altri, aggiunse: “e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,69). Espressione che Sant’Agostino spiega così: “Vedete come Pietro, per grazia di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto e conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio, cioè che tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei” (Commento al Vangelo di Giovanni, 27, 9).
L’atteggiamento che sintetizza le parole di Pietro è quello di mettersi davanti al Ss.mo Sacramento in adorazione umile e silenziosa, coltivando nel cuore non il dubbio, ma il desiderio di chi desidera la comunione piena con Lui.
L’Amen, che la Chiesa ci fa dire quando riceviamo la Comunione acquista così un significato profondo, perché ripete la stessa professione di fede di Pietro: “Non senza ragione dici Amen riconoscendo che prendi il corpo di Cristo; quando ti presenti per riceverlo il Vescovo ti dice: il corpo di Cristo! E tu rispondi: Amen! Cioè: è vero. Il tuo animo custodisca ciò che la tua parola riconosce.” (S. Ambrogio).
La Madonna che ha detto il suo fiat, il suo sì, ci ottenga l’umiltà di cuore per riconoscere il desiderio e la grandezza del Dono divino datoci nel Pane di Vita.
Anche San Pietro con la risposta sulla quale stiamo meditando rinnova il suo fiat, il suo sì a Cristo. Come possiamo imitarlo? Affidandoci completamente a Cristo rinnovando anche noi il nostro sì, con la preghiera, con l’adorazione eucaristica, con la comunione per ricevere la quale diciamo: “Amen”, cioè “Sì”.
Seguendo l’esempio della Vergine Maria e di San Pietro, fidiamoci di Cristo.
La liturgia di oggi ci offre anche un altro esempio. Quello degli gli Israeliti a Sichem, prima di entrare nella Terra promessa (Gs 24,1-2.15-17.18 – prima lettura): davanti alla scelta prospettata da Giosuè – “Scegliete oggi chi volete servire” – davanti ad una simile alternativa, gli Israeliti si fidarono della buona testimonianza dei loro padri, che erano stati liberati dalla schiavitù dell’Egitto. Si fidarono e scelsero di servire il Signore, anche se non vedevano ancora tutto chiaro su di lui e sulla sua parola.
Un altro particolare esempio di come mettere Cristo al centro della vita è dato dalle Vergini consacrate nel mondo. Queste donne hanno capito che il Signore è colui che ha parole che fanno viva la vita e con la loro vita consacrata testimoniano che Cristo è il cuore del mondo.
Ogni giorno ognuna di loro dice a Cristo: “Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68) non tanto con le parole ma con la propria vita offerta pienamente allo Sposo. La loro vita verginale, infatti rimanda a Cristo, si alimenta alla Sua Parola di vita e si nut
re del Suo Pane che non perisce.
Queste donne mostrano che Cristo ha “parole di vita eterna” non solo perché guarisce l’anima e il corpo, ma perché Cristo è il senso dell’umano, la sua stella polare, professano l’orgogliosa coscienza che Cristo è l’uomo nuovo. Il suo progetto di vita è la via e la verità dell’esperienza umana, perché ne è la vita in pienezza. E possono dirlo mostrando prima di tutto in loro che questo le fa crescere, sperare e amare. Se Cristo è il medico, lo è perché è il dono del Padre per ogni uomo e ogni donna. Se Cristo è la verità, lo è perché si fa valere come una verità attraente per il cuore di ciascuno. Se Cristo è la via, lo è perché ci ha dato lo Spirito dell’amore che ci conduce nel cuore di Dio. Se Cristo è tutto questo, allora è la vita, sì: la vita buona e piena. Insomma loro sono testimoni che solo Cristo “parola di vita” dà vita, pace e gioia: si sono date all’Amore e ricevono amore da diffondere nella vita quotidiana.
Lo stesso possiamo fare noi, davanti all’Eucaristia domenicale, davanti a questo gesto che a volte ci appare duro e lontano. La tentazione di sospenderne la pratica in attesa di comprenderla meglio indica una prospettiva illusoria: infatti soltanto praticando il sacramento noi possiamo approfondirne il significato. Soltanto ascoltando Cristo e affidandoci a Lui, che si affida a noi nella comunione, capiremo che solo il Signore ha parole che fanno viva la vita.
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NOTE
1 “Il discorso duro” di cui parla il Vangelo non si riferisce solamente all’Eucaristia, cioè alla presenza reale del Cristo nel pane e nel vino, una presenza giudicata impossibile. Il discorso difficile si riferisce a tutto il contenuto del capitolo sesto di San Giovanni:
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l’offerta di una salvezza che supera le egoistiche attese della folla;
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la presenza del Figlio di Dio nel figlio del falegname; soprattutto
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la necessità di condividere la Sua esistenza in dono.