“La famiglia è fatta di volti, di persone che amano, parlano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita a ogni costo. Si diventa persona stando in famiglia, crescendo con mamma e papà, respirando il tepore della casa, vero nido e culla della vita. È nella famiglia che riceviamo il nome e, quindi, la nostra dignità. La famiglia è il luogo dell’amicizia, degli affetti, lo spazio dell’intimità, ove s’apprende l’arte del dialogo e della comunicazione interpersonale”.
Con questa bella riflessione si è aperto il messaggio di ‘Buona notte’ del Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco, don Ángel Fernández Artime, durante la festa di apertura del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, svoltosi ieri presso il PalaRuffini di Torino. L’evento, promosso dall’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), coinvolge tutta la Famiglia Salesiana e s’inserisce nell’anno in cui si celebra il Bicentenario della nascita di Don Bosco e in cui la Chiesa si concentra sulle sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.
“In sintonia con la Chiesa – ha evidenziato infatti don Artime – anche la Famiglia Salesiana riserva una particolare attenzione alla famiglia, soggetto originario dell’educazione e primo luogo dell’evangelizzazione. Anche Don Bosco ha molto da dire oggi alla famiglia: la sua storia, il suo sistema educativo e la sua spiritualità si fondano sullo spirito di famiglia che a Valdocco è nato e si è sviluppato attraverso l’affidamento a Maria”.
Don Bosco – ha ricordato il Rettor Maggiore – “aveva perso il padre da piccolo; in casa aveva avuto contrasti per l’ostilità del fratellastro Antonio, aveva patito la fame e il freddo; eppure riconosceva che i grandi valori li aveva attinti da lì: la sapienza contadina, la sana furbizia, il senso del lavoro, l’essenzialità delle cose, l’industriosità nel darsi da fare, l’ottimismo a tutta prova, la resistenza nei momenti di sfortuna, la capacità di ripresa dopo le batoste, l’allegria sempre e comunque, lo spirito di solidarietà, la fede viva, la verità e l’intensità degli affetti, il gusto per l’accoglienza e l’ospitalità; tutti beni che aveva trovato in famiglia e che lo avevano costruito in quel modo, così da essere quel Don Bosco che tutti ammiravano e tutti cercavano”.
Tale esperienza familiare segnò il futuro Santo al punto che, quando pensò a un’istituzione educativa per i suoi ragazzi, “non volle altro nome che quello di ‘casa’ e definì lo spirito che avrebbe dovuto improntarla con la definizione di “spirito di famiglia”. E per dare l’impronta giusta alla cosa, “aveva chiesto a Mamma Margherita, ormai anziana e stanca, di lasciare la tranquillità della sua casetta in collina per scendere in città e prendersi cura di quei ragazzi raccolti dalla strada, quelli che le daranno non poche preoccupazioni e dispiaceri. E lei andò ad aiutare Don Bosco e a fare da mamma a chi non aveva più famiglia e affetti”.
“All’Oratorio – ha aggiunto il religioso – si viveva infatti una vita di famiglia alla buona, scarsa di risorse e piena di sogni; spesso Don Bosco doveva uscire di casa o per procurarsi i fondi per gestire, anche se con semplicità, un pensionato sempre più numeroso o per trovare un po’ di pace e scrivere i suoi libri nella biblioteca del Convitto o altrove. Mamma Margherita lo sostituiva nell’assistenza dei ragazzi, oltre a badare ai lavori domestici ordinari, in cucina di giorno e rattoppando i loro vestiti di notte”.
“Sono fatti del tutto ordinari, piccoli particolari certo”, ha osservato Artime, ma che “ebbero il loro peso su molti aspetti della vita di Don Bosco e dei giovani, e che ci aiutano a vedere nella sua concretezza la ‘famiglia’ dell’Oratorio”, che nell’intenzione di Don Bosco “aveva ad essere una casa, cioè una famiglia, e non voleva essere un Collegio”.
Su questa scia, “per noi, figli di Don Bosco – ha spiegato il Rettor Maggiore – la famiglia è una realtà costitutiva della nostra vita e della nostra missione. Da educatori conosciamo bene l’importanza di creare un clima di famiglia per l’educazione di bambini e ragazzi, di adolescenti e giovani”. A tale scopo “l’ambiente migliore è proprio quello che si rifà al modello base della famiglia: quello che riproduce ‘l’esperienza della casa’, dove i sentimenti, gli atteggiamenti, gli ideali, i valori sono comunicati vitalmente, sovente con un linguaggio non verbale e soprattutto non sistematico, ma non meno efficace e costante”.
“L’educazione è cosa di cuore”, diceva infatti Don Bosco, quindi per tutti i salesiani “vivere in famiglia non è semplicemente una scelta pastorale strategica, oggi tanto urgente, ma è una modalità di realizzare il nostro carisma e un obiettivo da privilegiare nella nostra missione apostolica”. “Come tratto carismatico caratteristico – ha detto Artime – viviamo lo spirito di famiglia; come missione prioritaria l’educazione e l’evangelizzazione dei giovani; come opzione metodologica educativa, lavoriamo ricreando nei nostri ambienti lo spirito di famiglia”.
A proposito di famiglia, nella sua ‘Buona notte’ il numero uno dei salesiani ha dato spazio ad una riflessione sul matrimonio, che – ha detto – “è nel progetto di Dio da sempre ed è la base della famiglia perché in esso si realizza il processo di umanizzazione del mondo, di ogni persona e di ogni società”.
“Non ci nascondiamo – ha aggiunto – il fatto che oggi la famiglia, che si costituisce nel matrimonio di un uomo e di una donna, che li rende una sola carne aperta alla vita, è attraversata dappertutto da fattori di crisi, circondata da modelli di vita che la penalizzano, trascurata dalle politiche di quella società di cui è pure la cellula fondamentale, non sempre rispettata nei suoi ritmi e sostenuta nei suoi impegni dalle stesse comunità ecclesiali”.
Proprio questo però “ci spinge a dire che dobbiamo avere una particolare cura per la famiglia e per la sua missione nella società e nella Chiesa. È bello anche constatare tanti sposi e tante famiglie cristiane che, con la loro testimonianza, mostrano al mondo un’esperienza di comunione e di servizio che è seme di una società più fraterna e pacificata”.