È infuocata come il sole di agosto la catechesi che Papa Francesco pronuncia nell’Udienza generale di oggi, in Aula Paolo VI, riprendendo il ciclo di riflessioni sulla famiglia. Una catechesi – la numero 100 del suo pontificato – in cui emerge l’afflato pastorale che orienterà i lavori del prossimo Sinodo di ottobre, offrendo già delle risposte ad alcune delicate questioni.
Al centro della riflessione del Pontefice ci sono infatti, ancora una volta, le “famiglie ferite”. Ferite dalla incomprensione dei coniugi, i quali, “in seguito all’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una nuova unione”. Ovvero quei ‘divorziati risposati’ che sembrano essere l’unico argomento sul tavolo dei Padri sinodali.
“Come prendersi cura di loro?”, si domanda Francesco. Un quesito spinoso, perché da un lato c’è una Chiesa “maestra” che “sa bene che una tale situazione contraddice il Sacramento cristiano”. Dall’altro, questo sguardo magistrale “attinge sempre da un cuore di madre; un cuore che, animato dallo Spirito Santo, cerca sempre il bene e la salvezza delle persone”. Ecco perché – spiega Bergoglio citando la Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II – la Chiesa “sente il dovere, «per amore della verità», di «ben discernere le situazioni»”, a cominciare dalla differenza “tra chi ha subito la separazione rispetto a chi l’ha provocata”.
Un discernimento necessario, rimarca il Santo Padre. Specie se si guarda a questi nuovi legami con gli occhi dei figli piccoli, dei bambini: lì – afferma – “vediamo ancora di più l’urgenza di sviluppare nelle nostre comunità un’accoglienza reale verso le persone che vivono tali situazioni. Per questo è importante che lo stile della comunità, il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti, siano sempre attenti alle persone, a partire dai piccoli. Loro sono quelli che soffrono di più queste situazioni”.
“Del resto – aggiunge il Pontefice – come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza dalla vita della comunità? Come se fossero scomunicati …”. Allora “si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare”; considerando anche quanto grande sia il numero di questi bambini e ragazzi. È importante “che essi sentano la Chiesa come madre attenta a tutti, sempre disposta all’ascolto e all’incontro”.
Dalle impellenze del presente, lo sguardo del Vescovo di Roma si sposta alla memoria del passato: il Papa ricorda infatti che, in questi decenni, “la Chiesa non è stata né insensibile né pigra” su certi temi. Grazie soprattutto “all’approfondimento compiuto dai Pastori, guidato e confermato dai miei Predecessori” che ha fatto crescere “la consapevolezza che è necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale”. “In effetti, queste persone non sono affatto scomunicate, non sono scomunicate, e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa”, rimarca il Santo Padre.
Non si tratta qui di ‘aperture bergogliane’: già Benedetto XVI – ricorda lo stesso Francesco – era intervenuto su tale questione nel discorso al VII Incontro Mondiale delle Famiglie di Milano, il 2 giugno 2012, “sollecitando un attento discernimento e un sapiente accompagnamento pastorale”. Secondo il Papa emerito, infatti, e anche secondo quello attuale, “non esistono ‘semplici ricette’”, ma ci sono in mezzo persone, situazioni di vita e di sofferenza.
Di qui, dunque, il ripetuto invito dei Pastori “a manifestare apertamente e coerentemente la disponibilità della comunità ad accoglierli e a incoraggiarli, perché vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace”.
Per non confondersi c’è un’immagine-guida che è l’icona biblica del Buon Pastore. Essa – sottolinea il Papa – “riassume la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre: dare la vita per le pecore”. Un atteggiamento che è “modello per la Chiesa, che accoglie i suoi figli come una madre che dona la sua vita per loro”, ma anche per tutti i cristiani, soprattutto le famiglie che possono “collaborare” con i Pastori “prendendosi cura delle famiglie ferite, accompagnandole nella vita di fede della comunità”. “Ciascuno – incoraggia Papa Francesco – faccia la sua parte nell’assumere l’atteggiamento del Buon Pastore, il quale conosce ognuna delle sue pecore e nessuna esclude dal suo infinito amore!”.
Pertanto, conclude: “Niente porte chiuse! Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità. La Chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”.