Una nuova sentenza promette di creare un interessante precedente nel lungo dibattito che si trascina sul tema delle imposte tra Stato e Chiesa. La Terza Sezione della Commissione Provinciale di Bari il 20 luglio ha accolto il ricorso delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, verso le quali pendeva un accertamento Ici da parte del Comune di Bari di 134mila euro (con gli interessi circa 200mila euro).
Il caso è nato quando l’Ufficio Tributi del Comune di Bari, effettuando controlli incrociati, ha inoltrato all’ente religioso tre distinti accertamenti della vecchia imposta Ici per tre strutture didattiche della città gestite dalle religiose: il Preziosissimo Sangue di via Scipione l’Africano, il Borea di piazza Garibaldi e il De Mattias di via De Marinis a Carbonara.
I tre accertamenti, relativi alle annualità 2007, 2008 e 2009, sono stati portanti davanti ai giudici e, in un arco temporale di sette mesi, i giudici hanno messo fine al contenzioso dando ragione alle suore e condannando il Comune a un pagamento di 8mila euro per le spese processuali e al risarcimento di 30mila euro per lite temeraria.
Secondo le toghe, l’ente religioso non esercita attività prettamente commerciale e dunque gode dell’esenzione prevista dal decreto legislativo 504 del 1992 e ribadita dalla circolare ministeriale del gennaio 2009 che elenca i beni immobili esclusi dal pagamento dell’imposta comunale. In pratica l’attività didattica viene svolta senza fini di lucro ma solo per finalità religiosa e di solidarietà sociale come testimoniato dagli stessi disavanzi di gestione delle tre strutture.
I giudici hanno infatti verificato che i costi sostenuti dalle suore sono superiori alle entrate ricevute (le rette pagate dai genitori degli alunni) e gli eventuali utili vengono reinvestiti nell’attività didattica e sociale (ad esempio nulla vieta all’istituto di accogliere a titolo gratuito i figli delle famiglie più indigenti).
Respinta l’obiezione del Comune di Bari, il quale ha tentato di dimostrare la natura commerciale degli enti appellandosi al numero di partita Iva usato dalle religiose, poiché – scrivono i giudici – “un ente ecclesiastico nella sua qualità di sostituto d’imposta ha bisogno di un codice fiscale che in quanto numerico è lo stesso numero di partita Iva per la presentazione della dichiarazione dei redditi Modello 770 e per l’indicazione sulle fatture dei costi per lo svolgimento dell’attività”.
Il commercialista che ha curato i ricorsi delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, Silvestro Monteduro, ha così commentato la sentenza, come riporta Tempi: “Siamo molto soddisfatti. Tre giudici togati in tre distinte sezioni ci hanno dato ragione dimostrando che si tratta di un ente no profit”.