L’arte contemporanea non è soltanto caos e nichilismo. Nel mare magnum delle correnti e degli stili, il Meeting di Rimini ha voluto individuare dei “fili d’oro” che legano una serie di autori e, invece di esporne le opere, le racconta, in un originale percorso narrativo che colpisce e commuove
È con questo spirito che sta per aprire i battenti la mostra Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell'arte contemporanea, visitabile a Riminifiera, dal 20 al 26 agosto prossimo.
A colloquio con Giuseppe Frangi, curatore dell’esposizione assieme all’associazione culturale Casa Testori, a Davide Dall'Ombra, a Luca Fiore e a Francesca Radaelli, ZENIT ne ha fornito in esclusiva alcune anticipazioni.
La vostra mostra si prefigge di spazzare via alcuni luoghi comuni sull’arte contemporanea: quali in particolare?
Più che spazzare luoghi comuni la mostra si propone di far scoprire ad un pubblico che poco la frequenta aspetti affascinanti dell’arte contemporanea. Più che una mostra, è in realtà un percorso, che si sviluppa attraverso la narrazione di sette situazioni a cui altrettanti importanti artisti oggi sulla scena hanno saputo dar vita. L’arte contemporanea è un universo che spesso gioca ad essere enigmatico e a nascondersi allo sguardo dei visitatori spesso anche grazie a letture del tutto ermetiche offerte dalla critica. Spesso viene presentata come campo per iniziati. Invece gli artisti in fondo obbediscono come in ogni altra epoca a domande grandi e semplici. Come dice il titolo, “tiene vivo il fuoco” in modo mai scontato e spesso spiazzante. Scoprire questa semplicità di fondo è un po’ la sfida del percorso proposto al Meeting. Come dice Damien Hirst, uno degli artisti scelti per il percorso, e assoluta star della scena artistica di oggi, “l’arte fa capire qualcosa sull’essere vivi che non avevi mai capito prima”.
Quali artisti avete scelto e con quale criterio?
Abbiamo scelto artisti viventi, tutti riconosciuti tra i più importanti di oggi. Li abbiamo selezionati pensando alla diversità dei linguaggi usati e all’efficacia delle situazioni da raccontare visto che ci rivolgiamo ad un pubblico che in gran parte non ha confidenza con il contemporaneo. Il criterio base del percorso è che ogni grande espressione artistica di oggi come del passato, dà luogo ad un’esperienza in chi la guarda, o meglio in chi la incontra. Credo che questo fattore di esperienza sia un contributo utile che l’arte contemporanea dà per favorire uno sguardo meno scontato e meno rituale anche sull’arte antica. Quel fattore di esperienza che era connesso con i grandi capolavori del passato oggi è ridotto quasi sempre a discorso estetico o culturale. Ma guardare ad esempio l’Assunta di Tiziano attraverso il modo con cui la legge Alberto Garutti, uno dei sette artisti inseriti nel percorso, fa capire quali prospettive più profonde e coinvolgenti siano possibili anche rispetto all’arte del passato .
Tra gli artisti (o le opere) esposti, ce n’è uno in particolare che più degli altri si lega allo spirito del Meeting e, in particolare, con il tema di quest’anno (la mancanza)?
L’esperienza della mancanza è la prima molla che mobilita l’energia creativa di ogni artista. Quindi tutti c’entrano profondamente con il titolo del Meeting. Certamente la performance di Marina Abramovic che, per tre mesi al Moma di New York, restò seduta davanti ad un tavolino, accogliendo lo sguardo di centinaia di visitatori che si sono avvicendati di fronte a lei, ha una portata di commozione con pochi paragoni. La Abramovic cercava un livello di relazione con l’altro che si basa sulla rispettiva coscienza di un vuoto e di un desiderio di colmarlo.
Tecnicamente come sarà strutturata l’esposizione?
La struttura è molto semplice. Un video iniziale, realizzato con la collaborazione di Giacomo Poretti, grande appassionato di arte contemporanea, aiuta i visitatori a capire in modo molto semplice ed efficace com’è cambiato l’orizzonte del fare arte già nel ‘900. Poi, in sette ambienti, i visitatori si immergeranno nel racconto, quasi sempre attraverso video, di altrettante invenzioni di artisti di oggi. Non ci sono opere, ma racconti di opere. È un percorso narrativo, perché la narrazione è lo strumento più efficace per far venire a galla il fascino di queste esperienze e aprire una breccia nell’attenzione e nella curiosità di un pubblico in gran parte nuovo all’arte contemporanea.