La mia esperienza con Steadfast Onlus, per il progetto SoniAid, presso il San Michele Hospital di Aprilia, è iniziata alla fine di gennaio 2015.
A quel tempo, mio cognato Sebastiano chiamò me e mio marito, comunicandoci di essere entrato a far parte di un’associazione, nello specifico la Steadfast Onlus. Ci disse che essa si occupa di cooperazione sia in Italia che all’estero. Nello specifico in Italia, ha attivato un progetto di aiuto ai più vulnerabili, il progetto SoniAid.
Sebastiano ci fece presente che di lì a qualche giorno ci sarebbe stato un corso per diventare “volontari professionisti”, altro obiettivo della onlus (quello di professionalizzare i suoi cooperatori). Nel chiederci se eravamo interessati a tale iniziativa, confermò la sua partecipazione al corso. Ovviamente specificò che la partecipazione era senza alcun impegno e che eravamo liberi di poter decidere se intraprendere o meno quella strada.
Sono sincera: all’inizio ero un po’ scettica. Tutto ciò che è novità mi rende “vulnerabile”, essendo io una persona molto timida e introversa. Una reazione, la mia, molto comune tra le persone sensibili. Del resto, in un contesto di normalità, si ha sempre timore di ciò che non si conosce, figuriamoci in un contesto di azione a sostegno di soggetti più vulnerabili, con molte responsabilità. Tuttavia, rimasi stupita della mia reazione.
La tranquillità e serenità di mio cognato hanno fatto sì che questa richiesta mi incuriosisse e così, “tanto per andare a sentire”, io e mio marito decidemmo di partecipare al primo dei due giorni di corso.
L’impatto fu forte. Gli specialisti Steadfast impartivano il corso, spiegavano tutte le dinamiche all’interno della struttura, come quelle tra gli ospiti degenti, il personale medico e i parenti. Spiegavano come la gestione degli ospiti, con problematiche anche abbastanza gravi e complesse, dipendevano molto dalle nostre azioni-reazioni come volontari.
Alle parole pronunciate dallo specialista Steadfast, prendevano forma dentro di me due diverse sensazioni. La prima era il terrore del rapporto con persone con problematiche che, nonostante io avessi studiato e vissuto con bambini piccoli, non sarebbero state tanto semplici da gestire, soprattutto in presenza dei loro parenti. L’altra, la curiosità di mettermi alla prova; perché nonostante tutte le mie ansie, paure e perplessità, tutto ciò che stavano insegnando, mi piaceva e mi attraeva.
Per via di un problema gestionale familiare, non ho potuto assistere al secondo giorno di corso, cosa che ho recuperato successivamente e mi sono sorpresa nel ritrovarmi, quella sera, a inondare di domande mio marito, non appena tornato dal corso.
Qualche giorno dopo ci è stato chiesto, sempre tramite mio cognato, che cosa ne pensavamo e se volevamo entrare a far parte dei cooperatori-volontari che si sarebbero dedicati agli ospiti del progetto SoniAid. Inizialmente ero piena di dubbi, avevo timore che la mia presenza dovesse essere costante e non ero certa di poter essere la persona giusta per stare con delle persone anziane, per di più in una fase terminale della vita. Nonostante questo mi sono ritrovata ad accettare di diventare una cooperatrice per il progetto SoniAid.
Così è cominciato il mio percorso all’interno dell’universo Steadfast Onlus. Il primo giorno di volontariato è stato semplice e con poche difficoltà: abbiamo preso confidenza con la struttura sanitaria e con il personale in servizio; abbiamo conosciuto i dirigenti, la caposala e le fisioterapiste occupazionali. Nell’incontro successivo abbiamo iniziato la nostra opera all’interno della struttura. Le emozioni che ho provato, sono state veramente molte, in primis la paura. Essendo io timida ed introversa, mi sentivo impacciata nonostante le giornate di corso effettuate. È proprio vero, che la pratica è tutt’altra cosa dalla teoria. Così ho pensato bene, oltre a seguire gli insegnamenti del coordinatore di progetto, stando sotto la sua stretta supervisione, di seguire passo passo il mio unico punto di riferimento in quel momento di annebbiamento: mio marito. Dove andava lui ero io, quello che faceva lui facevo io, ero entrata in simbiosi con lui. Poi, piano piano, ho visto che non c’era niente di cui spaventarsi e così ho cominciato a guardarmi intorno. Tutte quelle persone, d’un tratto, non sono più sembrate tanto “spaventose” ma al contrario, piuttosto bisognose di aiuto.
In quel momento non sapevo se sarei riuscita ad aiutarli, ma ero cosciente di volerci mettere tutto l’impegno. I loro occhi, i loro visi, la loro voglia di stare insieme, di non essere e sentirsi soli. Lo stare semplicemente seduta lì, vicino a loro, senza fare o dire nulla… dare calore umano. Quel pomeriggio furono loro a stupire me. Mi colpirono molto, profondamente.
Quel giorno, tornando a casa con mio marito, ricordo che parlammo poco in macchina. Ero intenta a pensare, a capire e a metabolizzare ciò che avevo appena sperimentato. Ricordo anche che quella sera andai a letto esausta e con un gran mal di testa per la tensione accumulata. Andai a riposare piena di emozioni e sentimenti che non riuscivo ad esprimere ed a esternare.
Nei primi giorni come cooperatrice, avevo ancora qualche dubbio e qualche riserva su di me. Il timore di poter fare del male agli ospiti in un qualsiasi modo, anche solo dicendo una cosa sbagliata o l’aver timore della loro reazione, apparentemente mi bloccava. Ma, appena varcata la soglia, della struttura sanitaria, la voglia di donare me stessa al prossimo, prendeva il sopravvento. Iniziai così, man mano che passavano i giorni, a rilassarmi. Iniziai a conoscere sempre di più gli ospiti del SoniAid e mi rendevo conto, che, in egual modo, loro stavano imparando a conoscere noi. La loro attesa colma di gioia per il nostro arrivo, diventava sempre più evidente.
Andare al San Michele Hospital per il progetto SoniAid è diventata una “dipendenza”. Ogni venerdì, il giorno che dedichiamo al volontariato, sento la necessità e soprattutto la voglia di andare a trovare i miei “amici ospiti”, che riescono a darmi tanto: tanta gioia, tanta felicità, tanto affetto. A volte ci sono anche momenti più tristi, quando li vedi un po’ troppo assopiti o quando apprendi che qualcuno di loro ci ha lasciato ma la speranza che riescono a infondermi mi ripaga di tutto. Quando varco quella porta e loro sono lì a guardarmi e mi salutano e mi chiamano per stare un po’ con loro a fargli compagnia, il mio cuore si apre e respira una boccata di ossigeno puro. Il loro affetto sincero, il loro sorriso mi aiutano più di qualsiasi altra cosa a non perdermi d’animo nelle mie piccole difficoltà, rispetto alle loro immensamente più grandi. E quando poi da qualcuno di loro ti senti dire (anche a fatica perché magari non riesce a parlare fluentemente): “Grazie! Grazie per la vostra amicizia!”, beh, c’è ben poco altro da dire.
Ogni volta che coopero con il progetto SoniAid mi riempio di gioia e speranza. Offro volentieri un briciolo del mio tempo a delle persone che hanno solo bisogno di essere ascoltate, accudite, amate. I miei timori non sono spariti del tutto e questo fa sì, che io non invada troppo il loro spazio e dia il giusto valore e rispetto a tutti. Inoltre, il gruppo con cui faccio volontariato e coopero è un gruppo meraviglioso, formato da uomini e donne che hanno una sensibilità unica. Devo ringraziare chi mi ha dato l’opportunità di vivere questa esperienza, che consiglierei a tutti di fare prima o poi nella propria vita.
La nascita di questo progetto viene da una esperienza vissuta. Nasce dalla storia dell’amore di un figlio alla madre e dall’amore di una madre al figlio. Un amore apparentemente fragile ma in realtà di una forza dirompente. Sono sicura che mamma Sonia sarà molto felice di quanto Steadfast sta facendo con il progetto SoniAid.
Ora te, che stai leggendo queste righe, cosa aspetti? È facile,
lasciati trasportare! Se sei concentrato su questa mia testimonianza, vuol dire che hai tutte le caratteristiche per donare un po’ del tuo tempo e di amore ai più vulnerabili. Non titubare, da donatore di amore, ti ritroverai come soggetto amato. Contattaci a info@steadfastfoundation.org.