Pontifical University of the Holy Cross (PUSC)

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Con la Humanae vitae, Paolo VI si oppose ai stereotipi culturali molto diffusi

Angel Rodriguez Luño, decano della Facoltà di Teologia alla Pontificia Università della Santa Croce analizza l’attualità dell’enciclica montiniana, a 47 anni dalla pubblicazione

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Il 25 Luglio 1968, papa Paolo VI pubblicò l’enciclica Humanae vitae, che sintetizza la dottrina della Chiesa sul matrimonio, sull’apertura alla vita, sulla contraccezione e sulla genitorialità responsabile. Tutte tematiche che  continuano a far parlare di sé, dentro e fuori la Chiesa. Per capire meglio i fondamenti teologici di questo documento, il suo contesto storico e le sue implicazioni, ZENIT ha intervistato il decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce di Roma, Angel Rodriguez Luño.

Quasi cinquant’anni fa, veniva pubblicata l’enciclica Humanae vitae. Quale impatto ebbe, all’epoca, questa pubblicazione?

La Humanae vitae di Paolo VI uscì due mesi dopo gli eventi del maggio ‘68, che avevano innescato, tra le altre cose, la “rivoluzione sessuale”. C’era una forte pressione da parte di molti media e gli esperti divulgavano previsioni demografiche pessimistiche ed allarmistiche, che in seguito, si sono rivelate false. Alcuni ambienti ecclesiali subirono un certo disorientamento, a causa di interpretazioni errate del Concilio, e alcuni di coloro che parteciparono alla stesura dell’enciclica, pubblicarono stralci che non erano definitivi. In questo contesto Paolo VI, dopo una lunga riflessione, ribadì la visione cristiana della sessualità, in cui il Creatore ha unito due dimensioni di significato e di valore, che l’enciclica chiama “significato unitivo” e “significato procreativo”. Questa connessione non può disarticolarsi, senza che entrambe le componenti ne soffrano.

Dal punto di vista teologico, l’enciclica era rivoluzionaria? In quali punti?

Dipende da cosa si intende per “rivoluzionario”. Sostanzialmente Paolo VI ha proposto una nuova visione antropologica e morale che Pio XI, nella sua enciclica sul matrimonio, aveva considerato come “dottrina cristiana insegnata sin dalle origini e mai cambiata”. In questo senso l’Humanae vitae non rappresenta alcuna rivoluzione. Rivoluzionario è il coraggio con cui Paolo VI si oppose ad alcuni degli stereotipi culturali già allora molto diffusi, che venivano in un certo senso imposti e che continuavano ad essere nocivi per le persone sposate e, più in generale, per la morale. Anche se l’enciclica si riferisce direttamente al matrimonio, ciò che era in gioco era la visione d’insieme della sessualità.

Per comprendere il contesto storico, cosa ha portato Paolo VI a scrivere questa enciclica? A cosa era necessario rispondere?

Ritengo che la delicatezza del problema e la complessità del contesto, indussero Paolo VI, mentre il Concilio era ancora in corso, a trattare personalmente lo studio e la risoluzione di questo problema. Alla luce della tradizione morale della Chiesa, nessuno poteva dubitare che la contraccezione sia intrinsecamente un comportamento disordinato. C’era un’idea nell’immaginario collettivo, che la contraccezione consistesse, in qualche modo, nel manipolare la realizzazione della relazione coniugale. Poiché la pillola anovulatoria (che, come tale, oggi quasi non esiste più, perché la maggioranza dei farmaci contraccettivi hanno anche altri effetti, oltre a quello anovulatorio) non modifica il rapporto coniugale, alcuni si domandavano se il suo uso dovesse essere sempre considerato come un peccato di contraccezione. La questione non è se la contraccezione sia un peccato oppure no, ma se l’uso coniugale della pillola anovulatoria sia contraccettivo o meno. Ciò ha costretto a definire meglio l’essenza della contraccezione, alla quale Paolo VI si riferisce quando scrive: “Per atto contraccettivo si intende ogni azione che in previsione, durante, o immediatamente dopo l’atto sessuale coniugale mira a impedire il concepimento di cui l’atto sessuale medesimo è capace”. Per dirla in modo spiccio: se si scoprisse che bere un’aranciata immediatamente prima della relazione coniugale impedisce la trasmissione della vita, chiunque beva un’aranciata proponendosi come fine o mezzo, il rendere impossibile la procreazione, commetterebbe un peccato di contraccezione. Uso questa ipotesi irreale per far intendere dove sia la contraccezione, che non dipende dal fatto che il farmaco contraccettivo sia un prodotto artificiale.

Ritiene che nella formazione al fidanzamento non siano approfonditi a sufficienza alcuni aspetti dalla Humanae Vitae?

Ritengo che, effettivamente, nella formazione al fidanzamento l’Humanae vitae andrebbe studiata con profondità e integrità. Ma questo discorso ci porterebbe lontano. Mi limito a un concetto che la mia esperienza conferma continuamente. Quando l’enciclica di Paolo VI era in preparazione, alcuni hanno sostenuto che la morale sessuale cristiana stesse solo danneggiando l’amore tra uomo e donna e la stabilità del matrimonio. L’esperienza dimostra che oggi, in una cultura in cui vengono incoraggiati la contraccezione e il sesso prematrimoniale, le rotture tra le coppie sono sempre più numerose e sono anche più numerosi i fenomeni di violenza e di infedeltà. Certamente questi fenomeni sono accompagnati da altre cause, tuttavia continua a sorprendermi che molte coppie, che hanno avuto un fidanzamento piuttosto lungo, a volte eccessivamente concentrato sugli aspetti sessuali, dopo il matrimonio scoprono che non si conoscevano bene. Avrebbero potuto parlare di più e fare meno sesso, perché quest’ultimo non è sempre sinonimo di comunicazione e conoscenza reciproca. Nella maggior parte dei casi, al contrario, impedisce di correggere il proprio egoismo e quello del partner.

Molte delle questioni affrontate nel presente documento continuano a destare forte attenzione nel dibattito sociale, dall’aborto, alla fecondazione artificiale. Con il passare del tempo è ancora più forte l’“opposizione” ai fondamenti teologici della Chiesa su questi temi?

La nostra cultura ha seguito l’evoluzione che tutti conosciamo. Segnalare le cause per le quali il cambiamento sociale ha preso questa direzione, richiederebbe una riflessione molto interessante, ma troppo lunga per questa intervista. Non c’è dubbio che per alcuni – anche tra i cattolici – risulta difficile comprendere alcuni aspetti della morale cristiana. Forse ci vorrebbe uno sforzo maggiore, per spiegare e capire meglio. Ma per me è significativo che i praticanti più fedeli considerano molto positivi i propri sforzi per vivere la morale cristiana, anche se a volte commettono errori.

Durante il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia di ottobre, ci saranno dei cambiamenti riguardo ad alcune questioni sollevate dalla Humanae Vitae?

I Pastori desiderano affrontare i problemi pratici più urgenti per la famiglia a partire dalla dottrina della Chiesa. Papa Francesco ha detto più di una volta che si considera prima di tutto un figlio della Chiesa. Perciò, il nucleo essenziale della Humanae vitae, che come ho detto è un insegnamento proposto fin dall’inizio e che non è mai stato cambiato, è la luce sotto la quale i problemi pastorali saranno affrontati al Sinodo. Questioni pastorali molto concrete che toccano la saggezza, misericordia e prudenza cristiane con cui bisogna trattare tutte le situazioni che hanno a che fare con delle persone, possono trovare nel corso del Sinodo, con l’aiuto di Dio, risposte adeguate al nostro tempo.

Perché la Humanae Vitae è stata uno dei testi magisteriali più discussi degli ultimi decenni?

Si tratta senza dubbio di un punto difficile, in cui siamo tutti deboli se non sappiamo appoggiarci sulla grazia che Dio ci offre. Per di più, l’opposizione della cultura dominante è forte, anche se non nuova. Come spiegò Pierre Grelot in un libro bellissimo, ci fu già uno scontro tra gli insegnamenti della Genesi sul matrimonio e il pensiero religioso della Mesopotamia, della Siria e di Canaan. Queste religioni pa
gane sacralizzavano la sessualità umana attraverso le due conosciute vie dei miti e dei riti. Nei miti, la divinità si presenta come la congiunzione di dèi e dee, che vivono in coppia, e le loro storie costituiscono gli archetipi dei vari aspetti della relazione uomo-donna: fecondità, amore-passione, matrimonio. Ci sono, sotto nomi diverse, le figure del dio-padre, della dea-madre, della dea-amante, ecc. La concezione politeista consente, in breve, la dissociazione tra i vari aspetti essenziali della sessualità: fecondità, amore, matrimonio. Ogni aspetto è sacralizzato separatamente. Non avviene l’integrazione in un’istituzione come il matrimonio, la condizione esclusiva dell’amore e della fecondità come moralmente buoni. Anche i riti (della fecondità, della prostituzione sacra come culto della dea-amante, l’ierogamia ecc) effettuano la stessa dissociazione in termini di azioni, attraverso le quali gli uomini si uniscono alla divinità e partecipano alla sua capacità di amare o di essere fecondi. La dissociazione delle diverse dimensioni della sessualità umana segue il paganesimo e il neopaganesimo come l’ombra di un corpo illuminata dal sole. A mio parere, questa è la spiegazione ultima delle difficoltà attuali, che sono profonde ma non insuperabili. Vedo con speranza che tra i giovani che praticano la loro fede cristiana, questi problemi sono compresi molto meglio che tra le persone della mia generazione.

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Rocío Lancho García

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