Vincent Lambert, l’infermiere francese trentottenne dal 2008 in stato vegetativo a seguito di un violento incidente stradale, verrà mantenuto in vita. Questa la desione dei medici dell’ospedale di Reims, dove l’uomo è ricoverato da sette anni. I trattamenti nei confronti del degente non saranno quindi interrotti, anzi i medici hanno chiesto alla procura della Repubblica francese di designare un rappresentante legale per Lambert.
Questo perché la famiglia dell’uomo è divisa: da una parte i genitori, in particolare la madre che vuole proseguire con il trattamento, dall’altra la moglie e molti suoi fratelli (sei su otto) che chiedono di interrompere le cure.
Ai primi di giugno la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo ha dato il via libera all’interruzione dell’idratazione e della nutrizione artificiale di Lambert, seguendo in questo modo la richiesta della moglie Rachel e del Consiglio di Stato francese, secondo cui mantenere in vita Lambert è accanimento terapeutico. La sentenza però è stata contestata dai genitori, che hanno anche girato un video per dimostrare che Vincent reagisce a loro avviso alla stimolazione delle persone a lui care. La decisione di proseguire o meno l’alimentazione artificiale del paziente viene ora rimessa a Marisol Touraine, ministro della Sanità francese.
<p>In Francia la legge sul fine vita del 2005 impedisce l’eutanasia attiva ma altresì rifiuta l’accanimento terapeutico. Il caso di Lambert è alquanto delicato giacché egli si trova in uno stato di “coscienza minima”, che non è uno stato vegetativo ma non è neanche possibile equipararlo a un vero stato di coscienza, nonostante Lambert senta il dolore, deglutisca e muova gli occhi.
L’opinione pubblica transalpina si è spaccata sul caso in modo molto simile a ciò che avvenne in Italia tra il 2008 e il 2009 per Eluana Englaro. Proprio alla giovane friulana fa riferimento Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita, commentando la decisione dei medici di Reims che giudica “inattesa”. Gigli ritiene che “la Francia si è rivelata più rispettosa della vita umana di quanto fece il Friuli nel caso di Eluana Englaro”.
Egli ricorda che “a Udine una grave disabile fu lasciata morire sulla base di una ricostruzione presuntiva dei suoi desideri, affidandola a una associazione costituita il giorno prima che operò in una struttura non autorizzata, con la copertura del governo regionale, malgrado le evidenti irregolarità amministrative”. “Nessuno sia più lasciato morire sulla base di una presunta minore dignità della sua vita – l’appello di Gigli -. Non vi è nessuna spina da staccare, si tratta solo di non affrettare la morte di un disabile”.