Una vera cultura della vita deve battersi contro la pena di morte. A ribadirlo sono due notabili dell’episcopato statunitense: il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Commissione per la Giustizia e lo Sviluppo Umano, e monsignor Thomas Wenski, presidente del Comitato in favore della vita.
In una nota diffusa nel decimo anniversario della Campagna contro la pena di morte, lanciata dai vescovi USA nel 2005, O’Malley e Wenski auspicano che nel Paese si inizi ad “insegnare a non uccidere”, perché la pena di morte provoca un “circolo vizioso di violenza” che “sminuisce tutta l’umanità”.
Il porporato e il presule prendono atto dei progressi della cultura ‘abolizionista’ negli USA, che si è tradotta nell’abrogazione della pena capitale in vari stati e dell’introduzione della moratoria in altri, mentre il numero delle sentenze capitali è ai minimi storici. Tuttavia, ammettono, “c’è ancora un grande lavoro da fare”.
Citando la lettera di papa Francesco dello scorso 20 marzo, O’Malley e Wenski ricordano che la pena di morte è “inammissibile” e rimane “un reato contro l’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana”.
La fede cattolica, prosegue la nota dei vescovi americani, “offre una prospettiva unica sul crimine e sulla punizione, una prospettiva basata sulla misericordia e sulla salvezza, non sulla condanna in se stessa”.
Pertanto, non c’è reato tanto “odioso” da giustificare il “porre fine ad una vita umana”; se la società è in grado di “proteggere se stessa”, allora “deve farlo, perché oggi c’è questa capacità”.
Contraddicendo la “forza redentrice della Croce”, la pena di morte, “elimina ogni prospettiva di trasformare l’anima della persona condannata in nuova vita”.
L’opposizione dei cattolici alla pena di morte, quindi, “si radica nella misericordia” ed “offre ogni opportunità di conversione, anche al peccatore più incallito”.
Dopo aver espresso vicinanza alle vittime del crimine e ai loro familiari, O’Malley e Wenski chiedono di “riconoscere la dignità umana di coloro che hanno commesso un reato, poiché anche quando devono pagare il loro debito alla società, essi devono ricevere compassione e misericordia”.
Essere contrari alla pena capitale non vuol dire essere indifferenti “nei confronti della criminalità e degli attacchi alla vita umana”, spiega la nota. Si tratta, piuttosto, di affermare la “sacralità della vita, anche per coloro che hanno commesso i crimini peggiori”.
Il documento propone poi quattro raccomandazioni:
- pregare per le vittime dei crimini, i condannati a morte e gli operatori giudiziari;
- stare vicini alle famiglie delle vittime, portando loro l’amore e la compassione di Cristo;
- imparare gli insegnamenti della Chiesa sulla pena capitale e farli conoscere agli altri;
- chiedere politiche adeguate per proteggere la società e porre fine alla pena capitale.
“Come cristiani siamo chiamati ad opporci alla cultura della morte testimoniando qualcosa di più grande e perfetto: il Vangelo della vita, della speranza e della misericordia”, concludono poi il cardinale O’Malley e monsignor Wenski.